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I delitti del BarLume - Il re dei giochi

Regia di Eugenio Cappuccio vedi scheda film

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La recensione su I delitti del BarLume - Il re dei giochi

di scandoniano
6 stelle

I delitti del BarLume” è un ibrido prodotto cine-televisivo, nel senso che ha una distribuzione prettamente tarata sul piccolo schermo (non c’è stata distribuzione nelle sale), ma è presentato, e trattato, come un film a tutti gli effetti. Nel cast attori di rilievo, come Filippo Timi, che interpreta l’intransigente e solitario Massimo, il gestore del bar protagonista delle vicende, e Carlo Monni, uno dei 4 vecchietti frequentatori del bar, che alla briscola ed ai discorsi “sulla topa” accostano congetture da criminologi e ricostruzioni alla Agatha Christie. Attorno si muove un nugolo di attori alle prime armi o quasi, su tutti la bella Enrica Guidi, attrice agli esordi che interpreta Tiziana, la banconista. Dietro la macchina da presa c’è un regista con la R maiuscola, quell’Eugenio Cappuccio che ha firmato film di un certo valore come “Volevo solo dormirle addosso”. Oltre alla distribuzione, è anche la confezione ad avere il gusto inconfondibile del prodotto televisivo: Massimo è un Don Matteo laico, i vecchietti (la variabile più originale dell’intera operazione) hanno la stessa sindrome investigativa della “professoressa” Pivetti di “Provaci ancora prof!”, la presenza di una forte collocazione geografica (nella fattispecie un paesino toscano) ricorda molto da vicino gli adattamenti televisivi del Montalbano di Camilleri. Su questo ordito si muovono le varie trame, in questo primo capitolo intitolata “Il re dei giochi”, pedissequo retaggio del romanzo di Marco Malvaldi, che avanza per ipotesi, ma poi, con grande semplicità ed una linearità quasi infantile, affastella nuovi indizi ordinatamente, mano a mano che la storia si dipana, cosicché lo spettatore è impossibilitato a risolvere il caso fino a che non viene svelato l’ultimo dettaglio della storia.

La variabile originale di tutto il cucuzzaro sono proprio i quattro pensionati, che non sono né i “mezzi avvelenati al tavolino” di De Andrè, ma nemmeno dei semplici “quattro amici al bar” paoliani: i quattro vegliardi con la fissa per il giallo (inteso come genere letterario-cinematografico), tirano le fila delle vicende: ipotizzano, congetturano ed infine, fermamente sentenziano, in maniera spassosa. Il film si fa preferire per la leggerezza dell’operazione nel suo complesso, non tanto per la bontà della tensione creata.

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