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Due giorni, una notte

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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La recensione su Due giorni, una notte

di Peppe Comune
8 stelle

Sandra (Marion Cotillard) è appena uscita da una profonda crisi depressiva. Intanto, nella fabbrica in cui lavora, i capi hanno scoperto che il lavoro che si faceva in 17 lo si può fare bene anche in 16. Così l'azienda decide di licenziare la ragazza. La decisione però viene fatta prendere dai colleghi di lavoro di Sandra ai quali, attraverso una "regolare" votazione, viene chiesto di scegliere tra il mantenimento del posto di lavoro della collega e un bonus di mille euro elergito loro come sorta di premio di produzione. Ad una prima votazione quasi tutti votano a favore del bonus ma Sandra, spalleggiata dall'amica Juliette (Catherine Salée), riesce ad ottonere dal signor Dumont (Baptiste Sornin), il capo dell'azienda, un'altra votazione perchè si ritiene che la prima sia stata influenzata dall'ingerenza impropria di Jaen-Marc (Olivier Gourmet), il caporeparto del settore in cui lavora Sandra. Si decide quindi che si rivoterà il lunedì prossimo, alla ripresa della settimana di lavoro, a scrutinio segreto e senza ingerenze esterne. Così Sandra, aiutata dal marito (Fabrizio Rongione), ha tempo un sabato ed una domenica per recarsi da ognuno dei suoi colleghi per cercare di convincere almeno la metà più uno di essi a votare affinchè lei conservi il posto di lavoro.

 

Marion Cotillard

Due giorni, una notte (2014): Marion Cotillard

 

Concorrenza sleale dei mercati asiatici, necessità di ridurre la manodopera, riduzione dei salari per rientrare nei costi di produzione dell'azienda, "flessibilizzare" il lavoro per aumentare la produttività. Tutte queste formule le sentiamo ormai ripetere continuamente ogni giorno ed ogni giorno ci pongono di fronte alla progressiva erosione di tutti quei diritti posti a garanzia della posizione dei lavoratori. Si, perchè quelle formule contengono delle verità se si guarda all'andamento dell'economia nel suo insieme composito ed all'imprenditore come ad una figura istituzionale che deve fare i conti con "un'azienda mondo" che va facendosi sempre più complessa e sfuggente. Ma possono anche rappresentare degli alibi belli e buoni posti a disposizione esclusiva di quanti accettano di buon grado la deregolamentazione dei mercati globali (degli uomini e delle merci) per fare e disfare con le loro aziende ciò che più ritengono opportuno senza incontrare sulla loro strada particolari ostacoli di sorta. É la cultura del lavoro ad essere cambiata, nel senso che non c'è più rapporto di simmetria tra domanda ed offerta di lavoro, che si demanda a dinamiche esterne e ad attori anonimi il destino lavorativo di intere generazioni, che ogni singolo lavoratore, lasciato a se stesso, diventa una pedina facilmente sacrificabile sull'altare di una concezione ancora tutta da verificare di "razionalizzazione" della forza lavoro. Le grandi aziende possono attingere a buon mercato da un serbatoio umano che ha deprezzato suo malgrado l'impiego della propria professionalità : perchè intanto la precarizzazione in atto del mondo del lavoro ha reso gli operai più diffidenti nei rapporti interni all'azienda, in quanto più inclini a tenersi stretto quanto ancora posseggono, e più deboli nelle dinamiche contrattuali perchè più socialmente ricattabili.

Di questo spirito dei tempi (per dirla secondo l'insegnamento di Montesquieu), "Due giorni, una notte" dei fratelli Dardenne si propone di restituirci l'essenza concettuale, quella più radicata nella vita concreta di tutti i giorni. Lo si fa seguendo il passo affannoso di Sandra, una donna che cerca di ridare nuova linfa alla propria vita mettendosi a combattere una lotta impari contro il potere anonimo dell'indifferenza. I due giorni ed una notte del titolo non segnano solo il tempo che serve a Sandra per cambiare il corso del suo destino lavorativo, ma anche a noi spettatori per misurare il grado di conflittualità latente che scaturisce tra quanti si trovano sull'orlo del baratro e per i quali, anche solo la perdita di una qualsiasi forma di entrata economica, può significare precipitarvi dentro. Sandra mette in pratica una sua particolare via crucis rigorosamente laica e al reiterarsi sempre uguale della richiesta fatta ai suoi colleghi di votare per lei, seguono risposte che oscillano tra la complicità accordata in pieno e il disagio di non poterla "veramente" aiutare. Il fatto è che tutti sono più o meno consapevoli di trovarsi in un campo di battaglia dove si combatte una guerra tra poveri, una guerra che trova la sua ragion d'essere negli equilibri precari attribuibili all'esistenza di ciascun attore della contesa. Una guerra tutta psicologica inscenata da chi, "pilatescamente", se ne può lavare le mani rimanendo nell'ombra, lasciando che siano gli altri a cedere o meno al ricatto di sacrificare un posto di lavoro con la prospettiva di ricevere in cambio un "comodissimo" incentivo economico. "Mettiti nei mie panni, è un anno di gas e luce", dice uno rivolgendosi a Sandra ; "Per me è la catastrofe se la maggioranza ti sostiene. Ma te lo auguro comunque", gli ripete ancora un'altro. Parole assai emblematiche che segnano il confine tra la solidarietà che dovrebbe instaurarsi tra persone che convivono con la stessa percezione delle cose a la difficoltà a metterla in pratica visto che le spinte altruistiche sono controbilanciate dalla difesa egoistica delle rendite di posizione acquisite. É la stessa Sandra ad incarnare questo stato d'animo, lei perora la sua causa ma senza forzare troppo la mano, chiede senza supplicare. Perchè lei stessa si rende partecipe del conflitto interiore che attanaglia i suoi colleghi, lei sa benissimo che per chi paga un mutuo per la casa mille euro possono fare molto comodo, che il corrispettivo di un anno di bollette di gas e luce rappresenta una manna dal cielo a cui è molto difficile rinunciare. Sandra sembra capire benissimo il punto di vista degli altri, che tra persone che si mettono a ragionare si può arrivare anche a capirsi, ma che poi sono le storie contingenti di ognuno a far prendere delle decisioni piuttosto che altre. La cosa più giusta da fare è combattere come sta facendo lei, senza generare rimpianti per una lotta rimasta solo nelle intenzioni. L'unica lotta che può recargli sollievo indipendentemente dal suo esito finale. Il male, quello vero, si trova più a monte e risiede nel fatto che la disumanizzazione del lavoro ha reso il lavoro stesso una semplice merce di scambio. Il torto più grande sta nel fatto che sul luogo di lavoro la diffidenza tra gli operai ha finito per prevalere sulla complicità che dovrebbe instaurarsi tra di loro. L'ansia di Sandra, i suoi patemi, le sue paure, riflettono precisamente questo stato delle cose, che è fatto apposta per rimanere sullo sfondo, come il palcoscenico di un teatro che di volta in volta sceglie gli attori più idonei per recitare gli spaccati di vita vissuta che si intende portare in scena. Questo è il modo di fare cinema dei fratelli Dardenne, registrare l'aria che tira e rappresentare i possibili effetti che si producono sulle persone, e farlo con efficace rigore stilistico, rifuggendo dal fare della retorica militante e senza giungere mai a soluzioni consolatorie, è diventato un marchio di fabbrica subito riconoscibile. Il cinema dei fratelli Dardenne è fatto di scorza dura perchè impregnato di autentico realismo. Appartengono a quella categoria di registi che sanno scrivere storie per il cinema facendo combaciare emblematici spaccati di vita con la verosimiglianza di una delle loro possibili rappresentazioni. Dimostrando così di conoscere sempre bene le cose di cui parlano nei loro film e fare del cinema un fondamentale momento di riflessione critica sul mondo che cambia. Con "Due giorni, una notte" non stiamo ai livelli di film come "Rosetta", "Il figlio" o "L'Enfant", ma rimane grande cinema etico. Ottima prova d'attrice di Marion Cotillard.

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