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Knight of Cups

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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La recensione su Knight of Cups

di Kurtisonic
6 stelle

La verità sta dentro i tarocchi o ci sono film che propinano verità lampanti da sembrare taroccati? Se affidassimo lo sguardo alle immagini, Knight of Cups potrebbe soddisfare ogni palato, ma la rinuncia definitiva alla forma racconto espone il film a definirsi come un oggetto anti cinematografico più vicino alle suggestioni della video arte.

Christian Bale, Teresa Palmer

Knight of Cups (2015): Christian Bale, Teresa Palmer

"..Pensi che quando arrivi ad una certa età le cose cominceranno ad avere un senso, invece scopri che sei perso esattamente come prima.." (Knight of Cups)

 


Abbagliante e celebrativo di sé il cinema di Malick riesce sempre a far discutere, ha l'indubbia capacità di lasciare una traccia che nel caso di un autore maiuscolo come lui non può cadere nel vuoto o farsi cancellare da notazioni troppo lapidarie e sbrigative. Knight of Cups è la continuazione dei due precedenti lavori, si potrebbe obiettare che è lo stesso film e non illudiamoci, se il regista darà ancora alla luce qualcos’altro sarà su questa falsariga. Una forma magniloquente che tende alla perfezione, ancor che già vista, che diventa linguaggio unico, una sovrapposizione visiva destinata a coprire i dialoghi del quotidiano per confrontarsi solo con il monologo interiore, che si tratti di voci dell'anima o della coscienza. Gli elementi narrativi sono sempre più flebili, inutili, sempre meno identificabili fino ad arrivare alla noncuranza assoluta, legati da immagini libere da concatenazioni del racconto, la forma si auto determina attraverso una moltiplicazione visiva inarrestabile. Rick è uno sceneggiatore che non ha più la percezione di sé, vive con distacco qualsiasi esperienza chiedendosi quale sia il senso della vita. Sente dentro di sé la separazione con il proprio corpo e ripercorre varie situazioni in cui ricerca vanamente un contatto umano significativo. Una vita adagiata in un lussuoso benessere non gli è di nessun aiuto, il suo corpo completamente avulso dall'ambiente rimane immune da sentimenti e affetti. La sua vita si delinea in otto capitoli simboleggiati allegoricamente da altrettante carte dei tarocchi, il titolo stesso del film è un personaggio del mazzo che dovrebbe analogamente alle altre manifestarsi sotto una duplice veste, in positivo e in negativo. La forma cinematografica che Malick persegue è quella già inaugurata con The Tree of Life dove però la ricostruzione di una vicenda umana si incastrava alla perfezione con quel flusso stordente visivo capace di evocare il conflitto tra umanesimo e spiritualità. In Knight of Cups questo raccordo appare molto più sfilacciato, talvolta pretestuoso, e la voce over ostentata e solenne che predica lungo tutto il film crea un maggiore distacco verso l'immagine che non una riflessione di completamento. Il mondo di Rick tra l'altro è un insieme di stereotipi stilizzati alla moda, il dubbio che non si assuma da parte del regista una critica profonda a filosofie modaiole da new age diventa una certezza quando la riproposizione plurima dei modelli proposti non ha un contraltare alternativo credibile o immaginato. Poiché il tema dominante del film è la ricerca di senso, quanto può pesare la conoscenza aprioristica di un sotto testo criptico che indirizzi la visione, che ne consenta l’accettabilità, senza la quale invece fa di Knights of Cups un infinito collage mentale privato di quel sentore universale che è proprio del linguaggio del cinema? La liberazione dall'angoscia esistenziale di Rick non viene per esempio indirizzata verso una ricerca mistica di religiosità o di conoscenza verso la vita più semplice e pura con azioni di rottura, ma attraverso una ricostruzione alquanto frammentata di ricordi e di momenti presenti che esaltano un edonismo filosofico del tutto conforme allo stile di vita del tormentato protagonista. Che poi il viaggio che Rick intraprende fin dall'inizio, sia un’allegoria della condizione umana tradotto da un testo religioso, L'inno della perla, che ci porterà verso la meta liberatrice (neanche a dirsi sarà rappresentata dalla morte), non depone a favore del pieno godimento e della comprensione del film che resta arbitrariamente soggiogato da impressioni visive fulminanti ma di brevissima intensità. Le interpretazioni degli attori non aiutano, lasciati in piena libertà di improvvisazione non sono mai in grado di trasmettere un sentimento di autenticità, vuoi perché filtrati dal disorientamento del protagonista e perché depotenziati da qualsiasi funzione psicologica che lasci il segno, il padre e il fratello, le figure femminili, i loro fraseggi didascalici non sono mai influenti. Segno che il discorso interiore dell'uomo sia costretto nel suo cammino a lasciare sedimentare la parola o che le parole degli altri non siano che degli scudi a difesa dell'essenza, buoni per nascondere l'anima e la naturalità? Restiamo prudentemente agnostici fino alla fine e oltre, con la sensazione di un cinema più da cogliere che colto, segno di un'autorialità passata che potrebbe avvicinarsi alle elucubrazioni felliniane di Otto e mezzo, in solitudine, in piena estraneità con il mondo, e magari con una perla in tasca di cui non sapremo cosa farcene.

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