Espandi menu
cerca
Lei

Regia di Spike Jonze vedi scheda film

Recensioni

L'autore

giuvax

giuvax

Iscritto dal 6 giugno 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 65
  • Post 16
  • Recensioni 45
  • Playlist 26
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Lei

di giuvax
5 stelle

Her, ovvero, si potrebbe dire, I like loneliness but I don't like to be alone.

Ovvero ancora Spike Jonze, ritratti di solitudine che finiscono per essere ritratti di persone sole.

Ritratto di un regista in soli tre film, i tre che ho visto (mi manca Adaptation). Un recente post dei dikotomiko parlava proprio di Jonze e della sua sterminata produzione video. I film di Jonze invece sono solo quattro, e nei tre che io conosco c'è per l'appunto questo tema centrale ossessivo della solitudine: il burattinaio di Being John Malkovich, il bambino di Where the wild things are, il protagonista di Her.

Ma mentre i primi due mi avevano affascinato sebbene in modo e misura diversi, Her mi ha irritato e deluso, per tutto quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Per tutta la carne buttata al fuoco e dimenticata fino alla cenere.

 

Cominciamo da un'ovvia premessa: un tema come quello dell'intelligenza artificiale non è esattamente il massimo dell'originalità e dell'innovazione. Praticamente un percorso a ostacoli tra luoghi comuni, citazioni e banalità. Ma Jonze ha davvero delle idee originali e per tutta la prima parte del film sembra si stia preparando a un gran colpo di scena o allo srotolamento di più strade da percorrere. E invece non è così.

Tutti i presupposti originali risultano sprecati e abbandonati. Theodore, questo ragazzone mal cresciuto che lavora per una società che inventa false / vere corrispondenze, si scopre vittima del medesimo facile inganno della parola, dei bit e delle suggestioni chimiche, sì, ma della chimica del silicio. Installa un nuovo sistema operativo per casa / cellulare / computer e dal momento in cui decide di assegnargli un'identità femminile getta le basi per innamorarsene. Forse decide di innamorarsene, forse lo fa perché ha bisogno di innamorarsi di qualcuno, o meglio di nessuno, o ancora ha bisogno di sentirsi innamorato, come se potesse mai essere la stessa cosa.

Ma nelle mie parole c'è più profondità che nel film, purtroppo. Dell'ambiguità e delle sfumature presenti nei vari piani narrativi e nelle varie facce della storia, non c'è assolutamente traccia in Her.

 

I due livelli.

Uno dei temi principali del film è la dicotomia tra il ruolo attivo di Theodore come 'creatore' di lettere su commissione e quello passivo come destinatario, utente finale di un prodotto 'falso' o almeno artificiale. Questo elemento è sempre latente, mai esplicitato, nemmeno mai evidenziato con sottolineature chiave, con paralleli o altri piccoli artifici. Il tema è presente e vivo ma senza che ne siano sfruttate le contraddizioni e le storture. Theodore passa l'intera giornata a fingere facendo passare la sua finzione per puro atto creativo, braccio e burattino di un meccanismo completamente artificiale, eppure senza alcuna difficoltà nell'istante in cui torna a casa passa dall'altro lato della barricata e diventa utente debole alla fine dell'ultimo anello della catena. Cosa che però non è percepita come naturale, dal mondo esterno, se è vero che quando comincia a ritenersi innamorato lo dice agli altri con estrema diffidenza (ossia, non è normale nemmeno per lui che ci si possa innamorare di un'intelligenza artificiale, benché sia assolutamente normale il lavoro che svolge).

 

I due pezzi di narrazione.

A dispetto di un inizio che sembra procedere con estrema cautela nella creazione dell'atmosfera e nella sistemazione di tutti i tasselli del puzzle, la sensazione è che ci siano due parti distinte del film, giustapposte ma slegate, e agganciate da un breve e frettoloso anello lasciato volutamente in superficie. La prima parte del film descrive, racconta, esplora le sfumature della vita di Theodore, i suoi piccoli traguardi, i suoi piaceri e dispiaceri. Si avventura in un timido tentativo di ricostruzione del suo passato sentimentale, ma a un certo punto, nel giro di pochi minuti, entra in scena lei, Samantha, che senza troppe spiegazioni e con l'ausilio di un paio di conversazioni da copione, intrise di luoghi comuni e romanticherie da fotoromanzo, fa innamorare Theodore. A quel punto, scatta la seconda parte del film, con questa specie di lenta discesa nelle dinamiche di questo 'rapporto', che coinvolge lo spettatore nella misura in cui (e solo per quel motivo) egli cerca di immaginare quale sarà la novità, la scoperta, la sorpresa che ci riserva il regista, in che modo ci racconterà la sua versione dei fatti o ci svelerà la sua teoria sulla vita e sui rapporti umani. (E invece niente: come dirò in seguito.)

Improvvisamente, dal nulla, Theodore comincia a riferirsi a Samantha come la mia ragazza, e quando lo fa lo spettatore ha un senso di spaesamento perché è messo di fronte al fatto compiuto senza un passaggio graduale, senza una presa di coscienza reale.

 

Il passato sentimentale.

Il vissuto di Theodore è appena accennato, a volte con nostalgia, a volte con rabbia e frustrazione, sempre se si riescono a considerare tali quelle che sembrano solo ombre di emozioni, scuotimenti tiepidi del suo animo, e che lasciano velocemente il posto al quotidiano e al presente. Quella che a un certo punto (almeno per il mio vissuto e il mio sentire) sembra in procinto di diventare la parte più interessante del film, ossia il contrasto tra gli elementi di un rapporto vero (che non ha funzionato) e quelli di un 'rapporto' virtuale (che sembra funzionare), delude tutte le aspettative sul nascere. Jonze non si chiede più di tanto perché non basta amarsi, o cosa sia che fallisce nella vita insieme pur disseminata di momenti felici. Non si preoccupa di qualcosa che sarebbe a mio parere abbastanza normale chiedersi, ossia qualche perché, qualche elemento del passato insieme a qualcosa dell'emotività presente di un uomo ancora così apparentemente devastato dall'imminente e ormai deciso divorzio. Sfiora solo da lontano quello che potrebbe essere il senso di colpa di Theodore per il fallimento della relazione precedente, nel momento in cui si getta a capofitto in qualcosa di cui non ha nemmeno ben chiari i contorni, se si esclude quella specie di gioia infantile per l'appagamento del singolo istante. Non c'è traccia di paura, di tentennamento, di corto circuito mentale tra passato e presente. Il divorzio è menzionato ma non sfruttato in alcun modo, insomma.

 

I temi dimenticati.

Nel momento clou del film, in cui finalmente Jonze sembra voler creare una vera dinamica costruttiva dagli elementi finora accumulati, ossia quando Theodore decide di 'presentare' Samantha alla sua coppia di amici, si compie invece il penultimo fatale errore (l'ultimo sarà il finale).

Nell'arco del picnic che viene consumato a quattro (o meglio, tre più uno) vengono fuori in maniera appena accennata dei temi di una portata enorme, quelli che ci si aspetterebbe dai presupposti almeno:

- di cosa ci innamoriamo quando ci innamoriamo? amiamo la testa, le emozioni, il corpo o cosa? (nelle conversazioni sulla loro 'storia', a tre o quattro voci);

- l'amore è valido e ha senso anche se ha una fine, o meglio gli uomini hanno una fine che si estende anche al sentimento che provano? (accennato ancora più brevemente nell'arco del picnic, a proposito di età e vecchiaia, Samantha è immortale e tutti si zittiscono, fine.)

Il risultato, da spettatore (fin troppo) pensante è una frustrazione estrema: i nodi appena incontrati vengono abbandonati, e queste paure sotterranee non sono mai più riaffrontate, rendendo impossibile capire un'eventuale opinione di Jonze sull'argomento.

 

Il corpo dell'altra.

Questa è la parte più assurda e sconnessa del film. Quando Samantha decide di prendere quasi le sembianze di un essere umano e sceglie una ragazza che sarà in contatto cerebrale e uditivo con entrambi, la situazione degenera. Ma non solo perché non soddisfa Theodore: in una specie di parodia / autocitazione di Essere John Malkovich, laddove l'amica / collega riusciva ad amare la moglie del burattinaio solo attraverso il corpo di John Malkovich, qui è tutto contorto e distorto. Lo spettatore non ha ben chiaro che ruolo preciso abbia la ragazza, cosa senta, con chi sia in contatto, cosa le sia stato raccontato prima di arrivare nell'appartamento di Theodore. È tutto buttato alla rinfusa ed è la sequenza meno intrisa di corpo dell'intero film, paradossalmente (il che potrebbe essere una cosa, a logica, positiva, ma in realtà non sembra una scelta consapevole quanto piuttosto un segno che la storia gli è sfuggita dalle mani). Isabella come John Malkovich è solo uno strumento, ma l'essere a conoscenza del presupposto più che rafforzarla la rende vulnerabile e indifesa. E così è: mentre lei cornuta e mazziata se ne torna sui suoi passi, Samantha e Theodore sono costretti a riesaminare i cocci della loro relazione, o magari a fare finalmente i conti con la difficoltà di considerarla davvero tale.

 

La solitudine.

La frase che ho usato all'inizio, I like loneliness but I don't like to be alone, potrebbe essere un'ottima chiave di lettura del carattere di Theodore (come degli altri protagonisti dei film di Jonze). Potrebbe servire ad arricchire di sfaccettature le decisioni che prende e il corso degli eventi. Ma anche questo aspetto rimane puramente bidimensionale, senza contrapporsi ad una ricerca di contatto che pure sembra elemento sfruttabile del film. Accostata la storia di Theodore a quella dell'amica che è rimasta single e approda come lui ad un'amicizia virtuale, Jonze lascia i due personaggi soli ma non solitari in sospeso, li 'risolve' nel rapporto artificiale senza preoccuparsi almeno un minimo dell'assenza di contatto umano fisico, senza minimamente sollevare la questione, come se soffrire la solitudine potesse prescinderne completamente e trovare appagamento facile e definitivo in questo tipo di relazione.

 

I finali (im)possibili.

Ho visto il film con due amici. Tre persone per un totale di una decina di finali possibili ipotizzati. Se ne fosse realizzato uno.

Soprattutto considerate tutte le premesse e gli spunti cyberpunk. Non lo so se rivelare come NON finisce un film possa essere considerato spoiler, ma nel caso prego chi legge di saltare questo punto.

Accenno solo ad alcuni dei possibili scenari:

- l'intelligenza artificiale è unica, un unico cervello centrale che dialoga con tutti e si innamora e fa innamorare di sé tutti (ipotesi ventilata ma comunque in ogni caso non esplicitata);

- il computer diventa 'umano' o almeno decide di diventarlo 'installandosi' in un corpo per stare davvero insieme a Theodore;

- il contrario: Theodore decide di superare le barriere del corpo e del tempo diventando pura elettronica;

- il sistema operativo è un'estensione della società per cui lavora Theodore, ossia prende dati dal suo 'registrato' lavorativo per modulare su di essi il personaggio meglio delineato per lui;

- in stile Matrix: il sistema operativo 'romantico' è il nuovo programma installato dalla società tipo Matrix che tiene in schiavitù tutti gli esseri umani;

- il più banale: Theodore capisce dalla delusione ricevuta che è impossibile chiamare amore una relazione totalmente virtuale e torna dalla moglie 'cresciuto' e deciso a far funzionare il loro matrimonio.

E invece niente.

 

La genialità di toccare tutte le tematiche possibili si frantuma in una pigrizia o incapacità di ricavarne qualcosa di originale. Ambienti in stile Gattaca, pantaloni a vita alta senza un preciso significato. Cyberpunk e riflessioni intime sull'uomo in uno spreco totale di mezzi.

 

Fin qui sono stata seria, educata e quasi professionale. Ma la verità, quella vera, e il vero unico fondamentale motivo per cui ce l'ho con Jonze, è che non si può fare un film con Scarlett senza mostrare Scarlett. Ma se ne andasse a quel paese! (sì, quello delle creature selvagge casomai).

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati