Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Nella Sicilia in cui le vendette sono spesso regolamenti di conti, fredde esecuzioni che fanno parte di un gioco calcolato, nell’animo di un uomo maturano, in successione, tre delitti d’impeto, che nulla hanno a che vedere con l’onore. La celebrazione del processo costringe la borghesia palermitana a confrontarsi con le strutture precostituite che la sovrastano (il regime fascista) o che la dominano dall’interno (i canoni perbenistici). Il giudice Vito impersona, singolarmente, la giustizia libera, che risponde solo alla coscienza individuale e viene amministrata secondo il senso del dovere ed il rispetto per l’Uomo. Come nelle sue opere sulla mafia, Sciascia mette a nudo il sistema di regole non scritte e gerarchie non ufficiali che, pur non esistendo sulla carta, presidiano potentemente le menti e i cuori di una comunità. Questa si scopre solidale soprattutto nella unanime condanna del “mostro”, nella crudeltà del “tutti contro uno”, che essa scambia per un’espressione di concordia civica e morale. Il pessimismo sociale dello scrittore si coniuga, però, con l’ottimismo sull’individuo, che è riconosciuto capace di seminare un po’ di luce in un terreno in cui è radicato il buio.
Mirabile interpretazione.
Forse, in assoluto, la sua migliore performance recitativa.
Amelio asseconda la crociata illuministica di Sciascia contro il silenzio omertoso e l’assenza di spirito critico, riservando ampio spazio alla parola e al confronto. Il dibattimento in aula è un’indagine sull’uomo, un’analisi scientifica e quasi psicanalitica, basata sullo sforzo di tirare fuori, dalle parti in causa, tutto quanto c’è da dire. Un modo efficace e realistico di dimostrare che la verità, in fondo, è da ricercare in noi.
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