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Un giorno speciale

Regia di Francesca Comencini vedi scheda film

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La recensione su Un giorno speciale

di scapigliato
8 stelle

Dall’alba al tramonto. Il cinema ha spesso visitato questo luogo temporale, questo spazio mobile che è il ciclo. La ciclicità. Giornata o nottata, il fascino dell’irripetibile, dell’occasione della vita, dell’unicità delle ememozioni e con loro l’unicità spaziotemporale anche del crontopo, del momento irripetibile, dell’attimo, dell’immagine, del ricordo che segna indelebilmente – come un tatuaggio – la nostra memoria individuale. Quando poi i fatti, le emozioni e tutto il resto coinvolgono anche un’altra persona, a volte pure interi popoli e  intere comunità, l’immaginario si fa collettivo e nascono i miti.

In Un giorno speciale invece non nasce nessun mito. Nel film di Francesca Comencini non ci sono smanie di grandezza, verità assolute, frasi gigantesche più grandi degli attori e della storia stessa. Non ci sono perfortuna le imbarazzanti derive mocciane, le facilitazioni televisive – se si esclude il motivo dell’incontro con il politico e il futuro nello spettacolo, che è ahinoi anche cronaca politica. Non c’è il linguaggio giovanilistico e non giovanile tanto caro alla cultura teeny, e non c’è posto nemmeno per la morale e l’insegnamento tipico dell’Italia maestrina e bacchettona che deve associare a tutto per forza un insegnamento. Piuttosto troviamo, a livello registico, la voglia di raccontare per immagini utilizzando i mezzi cinematografici come il montaggio, la fotografia – stupenda di Bigazzi – il sonoro, le inquadrature totali come se ne vedono sempre di meno, tutti votati all’immagine stretta e sincopata da serie televisiva. Mezzi che la regista sa usare con intelligenza senza renderli pesanti da trasformare il film in una semplice esperienza estetizzante.

A livello artistico, invece, troviamo due attori lontani anni luce dallo stereotipo moccianesco – è un dispreggiativo – che imperversa sugli schermi dell’invasione “young adult”. Filippo Scicchitano, perfetto in Scialla!, qui è un po’ più ingolfato, imbolsito e ingessato, e soprattutto all’inizio del film sembra non trovare il suo equilibrio attorico, cosa che invece accadrà lungo lo sviluppo narrativo permettendogli di diventare lo Scicchinato travolgente e pieno di freschezza con cui aveva rimbaltato completamente l’idea di attore e di personaggio nati dallo Step di Scamarcio. Il Divo-diciotto, con la sua stereotipata, insana e sterile mitologia pseudo-pre-post-adolescenziale, ha generato grossi buchi culturali nei ragazzi del nuovo millennio, oltre che essere il prototipo spurio di una serie di volti inutili che stanno letteralmente mandando al patibolo il mito dell’adolescente tradotto sul grande schermo. Scicchitano invece, grazie alla sua fisicità – qui abbastanza costretta nel completo da autista – riesce a restituire esattamente l’opposto che il tipo mocciano continua fastidiosamente a promuovere.

Dal canto suo, Giulia Valentini, è la perfetta Cenerentola da favola urbana. Il suo fascino non scontato, la sua bellezza non uniforme, la sua sensualità liquida, lunatica, intermittente la rende credibile e vivace più di tante colleghe che popolano i filmetti per “disperate casalingue” – il refuso è voluto – che non hanno gli strumenti culturali per andare oltre il mito di Rivombrosa o a quello della Babi di mocciana memoria. La Valentini invece, le straccia tutte le sciaquette – direbbero così tra di loro – e va a inserirsi in quella costellazione di stelle femminili che aggraziano il cinema italiano con precise scelte di campo autoriali. Ramazzotti, Crescentini, Placido, Chiatti e Grimaudo accolgono Giulia Valentini e si spera che la tanto decantata solidarietà femminile trovi fattibilità anche a livello professionale.

I riferimenti favolistici a Cenerentola non finiscono certo con l’attrice protagonista. Cenerentola rivive anche nell’oggetto macchina, che sostituisce la carrozza della favola e diventa il locus amoenus dei due personaggi che, sulle quattro ruote, viaggiano, si conoscono, s’incazzano, urlano, tremano e si amano. Non solo: lungo l’arco di tutta la storia l’oggetto “scarpa”, con tutti i suoi sottotesti – da quello erotico a quello materiale fino a quello ideale del viaggio e del percorso, dopotutto Un giorno felice può essere anche visto come un on the road – è regolarmente chiamato in causa, inquatrato con insistenza, motore di piccoli passaggi narrativi, ma è anche protagonista del finale di pellicola. Come un novello principe azzurro, Scicchitano corre in motorino fino al rione periferico della sua Cenerentola per riportarle le scarpe dimenticate in macchina e che lui s’è prodigato ad aggiustare. E questo percorso tematico, quello della calzatura, è solo il principale di tanti altri, come la ribellione istintiva della protagonista, che da un momento all’altro passa dalla placidità dell’adolescenza all’isterismo anoressico delle crisi di panico del mondo adulto. Oppure la bonarietà e, diciamolo pure, la banalità del personaggio monodimensionale di Scicchitano, trovano il loro contraltare nell’ira funesta del giovane attore davanti al crollo di un mondo di lussi che aveva creduto il mondo delle giuste occasioni, dell’abbonzanza e dei furbetti.

Grazie ai suoi attori e a una storia semplice e ben modulata, la Comencini, senza fare retorica e senza inscenare catarsi sociali, intuisce gli schemi del racconto generazionale e attraverso la narrazione e i suoi personaggi condanna senza mezzi termini il vuoto culturale di un’intera generazione, coinvolgendone anche le madri, incapaci di pensare un futuro per le proprie figlie che non sia quello della prostituzione legalizzata e benedetta. La filosofia dell’escortaggio fa le sue vittime anche in Un giorno speciale, ma la sua chiosa, quella cesura netta e aperta come una finestra che dà su un cortile da cui arriva una lontana voce d’amore, riesce a cancellare tutto, meglio di una doccia bollente. Classico esempio di bel cinema di intrattenimento che sa guardare al sociale con giusta distanza e sa entusiasmare nella sua sobrietà.

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