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Chernobyl Diaries. La mutazione

Regia di Brad Parker vedi scheda film

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La recensione su Chernobyl Diaries. La mutazione

di lorenzodg
4 stelle

Chernobyl Diaries. La mutazione” (“Chernobyl Diaries”, 2012) è il primo lungometraggio del regista Brad Parker.
   Quando l’esordio dietro la macchina da presa è un horror ci si aspetta sempre un marchio nuovo e dirompente. Lo spettatore avvezzo (o quasi) a paure d’effetto, sincopate o simil splatter non si lascia certo suggestionare ma oramai il ‘fai da te’ sta usurpando il buon vecchio cinema di puro intrattenimento e di paura agognata dove si vedeva poco (del/i mostri) e si rimaneva quasi estasiati dell’invisibile e dal sonoro palpabile per avvicinarsi ad una sequenza minima dove una piccola ombra già era lì (in)concludente (e il veder tutto era niente). Non soddisfatto del nulla che si possa immaginare e delle corsie preferenziali delle (auto)riprese, compresi i superotto di certi boys che aspirano alla nudità del proprio corpo (cerebrale), la voglia cinematografica (mai paga) di avere il grande schermo davanti propina al pubblico in questo inizio d’estate (solo col calendario) le pellicole ‘solite’ di resto dell’anno e/o di facili suggestioni giallo-horror per riempire la lista (spesa) di una multisala aperta e delle poche monosale ancora accaldate per proiettare un film di ripiego prima dell’arrivo di un blockbuster forte (unico in luglio) per arrivare al pre-ferragosto. Si deve dire che le promesse distributive non invogliano affatto (anche il più appassionato) a vedere certi films di basso costo (in tutti i sensi) nella bassissima stagione (vuota di idee in partenza). Una tristezza unica.
   “Chernobyl Diaries” mi ha incuriosito nel titolo (in inglese) mentre il sottotitolo italiano lasciava presagire qualcosa di meno convincente. E questa volta il qualcosa in più distributivo coglie il segno per una pellicola di valore medio già in partenza e uno scrittura alquanto semplice e alla fin fine inconcludente. Una pellicola dignitosamente che vuole volare al ribasso dove i personaggi sono frammentari(zzati) e le interpretazioni di livello (abbastanza) infimo. Oramai il propinare il solito gruppo di ragazzi senza-pericoli per viaggiare dentro una fittizia (auto)distruzione sta diventando un rituale di molta sceneggiatura di ripiego e di produttori che provano a cercare l’ago in un pagliaio (negli attori e in una storia che possa sbarcare il lunario degli incassi per un successivo film).
   Purtroppo c’è poco da dire. I primi venti minuti sono solo di proforma, tirati via con grande ‘chalance’ dove le caratterizzazioni sono buttate lì (un po’ alla grossa). Eppure le motivazioni per una migliore introduzione c’erano tutte ma la voglia di spender poco (il basso costo a oltranza porta alla autodistruzione non già il gruppo all’arrembaggio ma il film stesso) nella pochezza della voglia di girare un film di un certo gusto e livello. Poi il rituale diventa risaputo. Un furgone che non riparte, l’autista fatto fuori, la notte che incombe in una città desolata (Pripjat) piena di incubi irreali e di mostri veri tutto in una successione di eventi con una tensione horror convincente quando la fuga è solitaria (è la cinepresa il mostro) con una torcia che buca il buio totale mentre diventa (assolutamente) banale quando lo scontro ragazzi-paure vuole diventare serio e veritiero. Tutto, in questo caso, appare scontato, accumulante e, semplicemente, modesto e insulso. Il finale (ultimo minuto, che non dico) appare senza significato e irrilevante: si aggiunge qualcosa che vorrebbe essere macabro irridendo il mondo ospedaliero (sovietico) in un contesto narrativo oramai alla deriva e raggrumato di stupide brutture.
   Un gruppo di ragazzi (da quattro in origine alla partenza si aggiunge la solita coppia d’amore in cottura più l’autista dell’agenzia per viaggi estremi –unica per il film- gestore  di se stesso) vuole fare una vacanza (già poco indicativa dall'inizio) nella città ucraina di Pripjat divenuta
fantasma dopo l'esplosione del reattore della centrale atomica di Chernobyl nel 1986 (la notte del 25 aprile il reattore n* 4 inquina e annienta il nondo circostante). Il film è stato girato in altri luoghi e in posti ‘amichevoli’ per raccontare il massacro che portò il disastro nucleare e tutto va bene meno che indagare sul vero post-Chernobyl. I sei baldanzosi Paul (Jonathan Sadowski), Chris (Jesse McCartney), Amanda (Devin Kelley), Natalie (Olivia Dudley), Michael (Nathan Phillips) e Zoe (Ingrid Bolso Berdal) con l’aggiunta di Uri (Dimitri Diatchenko) vogliono a tutti i costi superare il confine off-limits della città di Pripjat. Dopo un tentativo regolare (controllato dalla polizia) il gruppo passa, percorrendo una strada imboscata, una recinzione lontana da facili controlli. L’inizio è di reportage-foto-incredulità e di qualche disillusa risata fino a quando il gioco scherzoso di una vacanza e la fuga rapida dal posto si trasformano in un incubo costretti a rimanere nella notte della vita fantasma. Il piccolo pullmino è in avaria (e sì che i fili di accensione qualcuno li avrà tagliati…) e Uri crede in un batter d’occhio di controllare la situazione (“telefona all’agenzia”..,..”sono l’unico socio”..,..”ma quella è una pistola”..,..”calma…vi porterò fuori…”…) ma strani rumori cominciano a sentirsi e fare la perlustrazione notturna non è il massimo… infatti alla ‘spicciolata’, con annessa suspense ‘limitata’, il gruppo si apre al buio dei fantasmi (‘sono ignari di quello che può capitare’ o ‘non avranno mai visto un’horror quadratico’!?) e le cose si mettono male. Riuscirà a salvarsi qualcuno?”! Domanda quasi retorica. Ci sono orsi, cani, lupi, radiazioni, malati, fantasmi e incubi dapertutto. In bocca al lupo…verrebbe da dire. Mai augurio più illogico! Per un sequel ci saranno i morti viventi in ogni dove figurarsi a Chernobyl.
   Il produttore Oren Peli (il regista di ‘Paranormal Activity’ del 2007) conosce bene le regole per pellicole giovanili e la serialità del genere ‘paranormal’: tutto ciò lo ha portato ad un ennesimo prodotto rimasuglio di altri (naturalmente) con convenzioni, grida, corse, buio e banalità risapute. Il fatto di (auto)vedersi (e di mostrarci in registrata) in una ripresa durante la foga dell’eccitazione e dalla fuga del pericolo lascia intendere che il film è poco serio e l’autoreferenzialità del prodotto è già implicita prima ancora della tecnica del video turistico d’esportazione. Un qualcosa di poco serio e approssimato nella tracciabilità dei personaggi, nella scrittura e in una recitazione inconcludente e, quasi, per caso. Un gesto da pellicola inerme, labile e solo ‘alimentare’ dove manca un certo approfondimento di ciò che si vede (ma qui le intenzioni mancano già da subito) e una sfaccettatura (auto)ironica. Il senso di paura-spettatore arriva ma è fine a se stessa: non ci sono risvolti. Un continuo inseguimento (per carità due o tre sequenze si ricordano alla minima luce) che finisce in un tu per tu imprevisto (per i ragazzi…) ma facilmente prevedibile.
   Gli attori fanno quello che possono ma è d‘obbligo chiudere il discorso su ogni battuta che dicono. Le grida fanno il resto. La regia di Brad Parker è mediocremente insulsa a discapito dei luoghi scelti (avamposti giusti) e delle fotografia che regge la messa in scena (non certamente di livello o meglio non valorizzata).
   Voto: 5-.
  (pubblicato su: icinemaniaci.blogspot.com)

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