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Come pietra paziente

Regia di Atiq Rahimi vedi scheda film

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La recensione su Come pietra paziente

di OGM
10 stelle

Lo scrittore  e regista Atiq Rahimi, nato a Kabul, ha portato, per la prima volta, il suo paese agli Academy Awards. Il suo ultimo romanzo è diventato il suo secondo film a soggetto: la prima produzione afghana a ottenere una  grande risonanza internazionale, grazie alla sua partecipazione al premio Oscar 2013. Una pellicola girata in persiano, nella stessa lingua parlata in Iran,  che lì si chiama farsi, e qui si chiama dari. La protagonista è l’affascinante Golshifteh Farahani, la bellissima Irane di Pollo alle prugne, che tra pochi giorni rivedremo al cinema in Just like a Woman di Rachid Bouchareb. Un volto ormai noto al pubblico europeo, e che, una volta tanto, si presenta non nella solita veste ibrida di creatura esotica in abiti occidentali, bensì in quella di una donna totalmente immersa nella cultura della sua terra d’origine, nelle sue usanze e credenze religiose, che, nel bene e nel male,  ne hanno plasmato il carattere, dolce, ma forte, sensibile, eppure coraggioso e determinato. Questa figura femminile non ha nome, né lo ha il luogo in cui vive: una città dalle strade sterrate, in cui sorge la sua casa senza mobili, arredata con cuscini e materassi, e illuminata da grandi finestre aperte su un mondo assolato ed ostile. C’è una guerra fratricida che imperversa, in quella regione arida e polverosa, in cui manca l’acqua da bere e l’Islam è onnipresente, con i suoi riti, le sue preghiere, ed anche con i crudeli pregiudizi dell’integralismo. Lei è sola, in mezzo a quell’universo assediato da una violenza spietata e da un’intransigenza religiosa che riduce al minimo le possibilità di essere e di esprimersi. Per quella donna, il Corano, amorevolmente custodito come un oggetto prezioso, è fonte di speranza, mentre per altri è il pretesto per perseguitare ed uccidere. Lì dentro sono scritte le verità che le permettono di resistere ed andare avanti, anche se la famiglia l’ha abbandonata, giovane madre con due bambine ed un marito in coma. Nel racconto si dice che fosse un eroe, un valoroso combattente, e che sia stato colpito a tradimento da uno dei suoi, durante una lite scatenata da un insulto rivolto contro sua madre. È bastato un attimo perché quella pallottola gli entrasse nel collo, spegnendo in lui ogni volontà e percezione. Da giorni giace inerte nel letto, con gli occhi spalancati e fissi al soffitto, e un tubicino trasparente che gli versa del liquido in bocca. È il suo cibo: una banale soluzione di zucchero e sale preparata dalla moglie, perché non ci sono i soldi per comperare il “siero” in farmacia. Nutrirlo nell’unico modo possibile, lavarlo e cambiargli la biancheria è tutto ciò che lei può fare per lui, che sembra davvero non sentire e vedere più nulla, e che non reagisce a nessuno stimolo, nemmeno ai fragori dei bombardamenti e alle urla dell’orrore che risuonano dentro i muri della sua stanza. Lei, però, può approfittare della condizione di lui per fare qualcosa per se stessa: può far finta che lui sia la leggendaria pietra della pazienza, un sasso miracoloso che può ascoltare la voce umana, raccogliere i segreti, le confessioni, gli sfoghi più intimi e riservati, sollevando i cuori dal loro peso insostenibile. Se ne fa carico, fino a spezzarsi, facendo sparire per sempre la traccia di quelle indicibili angosce. Quella donna parla, incessantemente, al suo uomo ridotto ad un oggetto inanimato. Gli rivela verità scomode, amare, di cui, per la mentalità corrente, si dovrebbe vergognare, e che lui neppure immagina. D’altra parte, per lui, è poco più di un’estranea: l’ha sposata per procura, mentre era sulle montagne a combattere; al suo posto, alla cerimonia, c’era soltanto il suo pugnale. Non l’ha mai veramente conosciuta: è troppo poco il tempo che hanno trascorso insieme, nei dieci anni del loro matrimonio. Nella sua mente è rimasta impressa l’icona fittizia di una ragazzina vergine e sottomessa, innocente e totalmente onesta e fedele, perché incapace di prendere iniziative e pensare autonomamente. Solo adesso lei gli racconta ciò che è stata in grado di fare, a sua insaputa, mantenendo, davanti a lui e a sua madre, un’apparenza di immacolata integrità morale. Per una volta, è completamente sincera, mettendo a nudo la sua reale natura: quella di un essere dotato di intelligenza, malizia ed istinto. Così si descrive, alla luce di certi avvenimenti passati, e così dimostra effettivamente di essere, mentre lotta per sopravvivere, per difendere le sue figlie, per salvare  quel suo sfortunato consorte. La necessità la spinge ad agire, e l’assenza di testimoni le assicura in ciò la massima libertà. Adesso quella donna può amare, desiderare, avere paura, cambiare idea, tentare e sbagliare senza doversi nascondere di fronte a nessuno. Improvvisamente, le sue uniche prigionie sono quelle materiali e contingenti derivanti dalla povertà, dalla guerra, dalla malattia. Si ritrova ancora oppressa nel corpo, a causa della circostanze avverse, però non è più schiava nell’anima, dovendo rendere conto soltanto a se stessa. La sua emancipazione interiore avviene nello spazio angusto e riservato della sua modesta abitazione, ed è magicamente innescata dalla presenza di quell’immobile macigno di carne che, in maniera misteriosa, la induce serenamente ad aprirsi, sciogliendo gli innaturali vincoli del silenzio imposti da una società cieca ed opprimente, ottusamente nemica dell’individualità.  Ciò che potremmo tutt’al più sussurrare in sogno, possiamo dirlo da svegli, ed ad alta voce, quando a sentirci c’è soltanto Dio, ossia l’invisibile ipotesi di un essere che ascolta senza rispondere, e che non si sorprende, né si scandalizza, e tantomeno pensa a punirci. Lui, per lei, è diventato quell’interlocutore muto ed impassibile che, con la sua monumentale e sovrumana compostezza, nobilita anche le ammissioni più imbarazzanti ed i segni delle più degradanti debolezze. Il monologo introspettivo sfuma in un dialogo celeste. Poesia divina e letteratura profana si uniscono per infrangere un antico tabù. Tutto avviene a piedi nudi e a fior di labbra, sotto un velo che copre pudicamente le membra ed incornicia il volto. La madonna si siede per terra, e la Pietà  assume le crude fattezze di un mondo in cui anche il dolore, il peccato e la morte sono concetti relativi, e oltremodo imperfetti.

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