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Gli anni spezzati

Regia di Peter Weir vedi scheda film

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La recensione su Gli anni spezzati

di Decks
7 stelle

Sovente capita di dimenticarci, in ambito storico, che nelle due grandi guerre del '900 i protagonisti non furono soltanto paesi del continente europeo e americano, ma anche stati medio-orientali e asiatici, o persino dell'Oceania (come in questo film). Essi presero parte a scontri e battaglie sanguinose similmente ad altre nazioni e Peter Weir porta sullo schermo un fatto storico, ancora commemorato nell'Australia, sua terra natia, utilizzando il suo stile inconfondibile.

La regia prima su tutte, invisibile, accompagna gli eventi con maestria e carrellate paesaggistiche stupefacenti. Da ogni ripresa trasuda l'amore che il regista ha per la sua patria: un Australia ancora sotto (in)diretto dominio inglese, ma che tra personaggi beceri, ma simpatici, calorosità familiare e persino l'incontro con un gentile eremita del deserto, non è mai avversa o nociva, persino nelle sue sequenze più ostiche. Weir però non fa uso del solito patetico patriottismo. Gli altri luoghi: quali l'Egitto, con le sue affascinanti piramidi, una Gallipoli che nonostante i bombardamenti mantiene intatta la sua bellezza, soprattutto nella costa, sottolineano quanto stiano a cuore ambiente e nazioni per il regista, natii o stranieri. Parlando di paesaggi è dunque obbligatorio assegnare una nota di merito alla bellissima fotografia di Russel Boyd, poetica e sporca di "sabbia". Essa riesce nel suo intento di attrarre lo sguardo dello spettatore su fantastici luoghi, storici o non con un fascino e una delicatezza unica. Altro ottimo aspetto tecnico, è sicuramente il montaggio, in particolar modo nelle sequenze finali, dove continui tagli e cambi di scena da un amico all'altro, creano un notevole pathos, negando allo spettatore la catarsi e terminando con un significativo e meraviglioso stop-frame. Anche la colonna sonora, pur non essendo originale, funziona bene e particolarmente nei momenti drammatici fa il suo dovere.

Come accade spesso nelle sue opere, Weir si focalizza sul mondo dei giovani: adolescenti letteralmente travolti dalla guerra, ancora immaturi per capire cosa essa significhi e cosa comporti. Ragazzi che finiscono per creare un microcosmo in mezzo a sangue e bombardamenti. Illusorio, ma inevitabile data la loro età, dove gare possibilmente mortali sono affrontate a suon di risate. Sarà la guerra, che rovinosamente, finirà per svegliarli di colpo da quel sogno composto da gloria e miraggi.
Archy e Frank sono la perfetta rappresentazione dei giovani diretti al fronte: il primo è spinto da un innaturale e inutile amor di patria, che nel profondo non sa spiegare e giustificare nemmeno a sé stesso (il dialogo con il nomade scopre del tutto la vera personalità di Archy) gonfiato da frasi fatte sentite altrove, non sue. Archy, proprio come Frank, non ha una vera individualità, resta solo affascinato e modellato da persone più in alto di lui. Il suo amico Frank, pur ripudiando la guerra, segue il suo amico inconsciamente, lasciandosi trasportare da una personalità apparentemente più forte.
Da notare quanto Weir apprezzi il cinema fantastico. Più che uno storico, la sua atmosfera è magica, avventurosa e giovanile (soprattutto nello sbarco notturno dei soldati in mezzo ai bombardamenti).

Purtroppo è proprio quest'aria adolescenziale, che spesso non convince. Particolarmente dopo la prima parte, essa cade nell'infantile, con scene che non sfiorano più quell'aria giovanile e divertente, ma puerile e immatura. Ne risente quindi l'intreccio complessivo della trama, che non sarebbe male, ma causa questi cali drastici di ritmo, perde molta della sua credibilità. Quest'ultima poi, non è aiutata certo né dalle interpretazioni, né dalle sceneggiature. Le prime mediocri, le seconde appena accettabili. Mel Gibson e le scene drammatiche sono un unione pericolosa, l'attore non vanta un vasto repertorio facciale e per di più è spesso odioso nel rappresentare malamente il suo personaggio. Anche Mark Lee non è all'altezza e non funziona, in particolar modo nelle scene drammatiche. Un vero peccato visti i simbolici protagonisti creati. Le sceneggiature, invece, scivolano da un linguaggio fanciullesco ad una dialettica più realistica e adolescenziale, che segnano rispettivamente lo scambiarsi emotivo di tedio e interesse.

Peter Weir firma una buona rievocazione storica di un'epoca crudele, che tra avventura, dramma e fantasia (persino nei fatti storici, dove l'accanimento con gli inglesi antagonisti della scena finale, non è fedele) vengono trascinati due ragazzi desiderosi di grandezza, emblematici e affascinanti nonostante i copioni e gli interpreti, che spostandosi tra paesaggi divini e indimenticabili vanno verso una rovina assurda e immotivata.

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