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Tutto parla di te

Regia di Alina Marazzi vedi scheda film

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La recensione su Tutto parla di te

di fefy
8 stelle

Alina Marazzi dimostra ancora una volta la sua sensibilità estrema, intensa e struggente. Come di consueto dal punto di vista stilistico scheglie il film contaminato dal documentario. Una necessità urgente di raccontare il vero utilizzando si attori, ma storie vere e tanto di testimonianze. La maternità vissuta in ogni singola donna come un evento a volte lieto ma più spesso contrastato dalle difficoltà della solitudine della rinuncia alle proprie cose, dalla depressione post partum. Colpisce nell'anima e fa male ma è senz'altro un'opera coraggiosa e onesta. Il lato buio della maternità viene messo in scena con realismo senza indagare troppo sull'aspetto clinico ma più sull'aspetto sociologico e culturale.
Elena Radonicich è la giovane e brava attrice che interpreta Emma, una ragazza che vive con difficoltà il rapporto col figlio e con la propria maternità, e che viene aiutata da Pauline, il personaggio di Charlotte Rampling, che ha alle spalle una tragedia infantile.
E' un cinema "femminista" quello della Marazzi, perché mette al centro del suo indagare lo sguardo e il sentire femminile, di donne che raccontando le loro storie fanno riaffiorare la loro verità più intima dagli strati ideologici con cui una società a netta dominanza maschile l'ha spesso ricoperta.
Ed è un cinema quasi senza uomini.
"Un'ora sola ti vorrei", il suo documentario più famoso e struggente, dedicato alla madre scomparsa, è legato strettamente a questo film. Conferma Alina Marazzi: “c'è un legame profondo tra i due, perché questo chiude un po' i conti con la tematica della relazione madre-figlia o madre-figli che era già stata raccontata in Un'ora sola ti vorrei, in un certo senso questo riprende dove l'altro aveva lasciato. Il fatto che qui ci sia il personaggio della Rampling che è una donna matura, di un'altra generazione, è perché volevo fare un collegamento tra il presente e il passato sull'ambivalenza della maternità. Il suo personaggio, col suo carico di memorie, scatole, foto, bobine sonore, filmini famigliari, riporta a un passato in cui questo disagio si chiamava depressione mentre oggi si chiama depressione post-partum. Anche questo film, come gli altri, ha un interlocutore dentro, è un modo di interpellare il pubblico e dirgli:quello che si racconta parla anche di voi”.
“Prima di affrontare questo film, le mie idee erano molto favolistiche, tipo: un giorno amerò qualcuno, farò un figlio e sarò felice. Fare questo film mi ha messo in relazione con l'idea che la maternità è uno di quegli eventi nella vita di una persona che ci riducono a uno stato di umanità molto profondo e archetipico, qualcosa di assoluto con cui fare i conti. La sofferenza del mio personaggio può riguardare tutti e affrontando questa idea con l'immaginazione mi è passata la paura. Come attrice ha utilizzato la paura e l'estraneità alla dimensione della maternità in senso craeativo nel film. Provavo un imbarazzo incredibile nei confronti del bambino e l'ho mantenuto durante le riprese, perché è una creatura che ti mette di fronte a qualcosa di profondissimo dentro di te. Alina mi ha ben guidata in questa attitudine”. 
Su Charlotte Rampling, ecco cosa racconta Alina Marazzi: “Lei è nota per questo aspetto ieratico e questo sguardo apparentemente freddo, ed è quello che volevo per il personaggio di Pauline, un misto di forza e fragilità, fermezza e irrequietezza. E' una persona estremamente generosa, e nel momento in cui ha sposato il progetto c'è stata al cento per cento.
Con il mio film volevo raccontare come la nostra esperienza sia lontana dalle immagini falsate che ci vengono proposte e perché si produce un immaginario della maternità che va solo in una certa direzione. Il film vuole parlare delle ombre della maternità perché delle luci se ne parla anche troppo. Ma non è pessimista: vuole raccontare in modo sottile, alla mia maniera, che se chiedi aiuto oggi puoi trovarlo”.

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