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Morgen

Regia di Marian Crisan vedi scheda film

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La recensione su Morgen

di OGM
8 stelle

Morgen, ossia domani. Un giorno che per Behran sembra non dover venire mai. Quella parola tedesca ha il suono della sua famiglia, emigrata in Germania, e che lui vorrebbe tanto rivedere. Per questo è partito dalla Turchia, per attraversare l’Europa da clandestino: prima la Bulgaria, adesso la Romania, e poi forse l’Ungheria. Sembrerebbe la solita struggente vicenda di emigrazione, se non fosse che, in questo film, il protagonista non è quel povero zingaro con lo zaino in spalla, né tantomeno il suo periglioso viaggio. Non può esserlo, perché di lui non sappiamo quasi nulla, e soprattutto, non capiamo una sillaba di quello che dice. Behran deve rimanere una figura di contorno, uno stimolo esterno all’evoluzione di una storia che, in realtà, non gli appartiene. L’avventura, infatti, è quella di un altro: di un uomo che non si muove mai da casa, se non per andare a pescare lungo il torrente o seguire la squadra del cuore in trasferta. Nelu è un cinquantenne tranquillo, che vive nella sua piccola fattoria insieme alla moglie Florica. Il tetto è da riparare, e non arriva l’acqua corrente, però quello è il suo mondo, dal quale non si separerebbe mai. La sua esistenza è fatta di routine: quella che vede lui a sorvegliare l’interno di un supermercato, e lei a impacchettare forme di pane. L’evento straordinario è trovarsi per caso faccia a faccia con Behran, che sta cercando di attraversare illegalmente il confine con l’Ungheria, e decidere di concedergli ospitalità ed aiuto. Un gesto, sia beninteso, che non ha nulla di caritatevole, né di spontaneo, visto che avviene a seguito dell’insistenza di Behran, accompagnata da una cospicua offerta di denaro. Soprattutto, non è, come forse vorrebbe la retorica, l’incontro rivelatore capace di risvegliare la coscienza e cambiare la vita. In effetti è solo un pericoloso impiccio, che costringe Nelu ad occuparsi di uno sconosciuto con cui non è possibile dialogare, esponendolo, per di più, al rischio di essere arrestato dalla polizia di frontiera. Non è nemmeno lo spunto di una commedia, non ci sono divertenti equivoci dovuti alle differenze culturali o alle barriere linguistiche, non c’è alcun motivo di ridere, tutt’al più ce ne sono alcuni per cui bestemmiare. Al bando le gag ed i colpi di scena, perché il realismo di questo film è modellato sulla vitaccia vera, in cui tutto è fatica, ed i problemi sono fastidiosi e per nulla interessanti. L’Europa di Schengen e del multiculturalismo è ritratta, per una volta, dalla prospettiva di un individuo qualunque, fuori da ogni quadro concettuale, senza pretesa di formulare teorie o enunciare principi. Il messaggio di fondo è semplice, e si riassume in due parole: ci sono cose tante più grandi di noi (distanze chilometriche da percorrere, leggi internazionali da rispettare) che sono oltre la portata della nostra comprensione e, soprattutto sono ferocemente contrarie ai nostri desideri: ci è vietato importare in Romania la carpa viva che abbiamo pescato nel fiume ungherese, così come non ci è possibile, senza i necessari permessi, riunirci ai nostri cari che si trovano in un paese straniero. Questo è il contesto universale da cui scaturiscono la rassegnazione della gente comune, l’arte di arrangiarsi, l’indifferenza nei confronti delle istituzioni, la mancanza di senso dello stato. Il discorso morale non c’entra, perché la conclusione è esclusivamente di natura pratica: ognuno fa quello che può, in questo puzzle le cui tessere non si incastrano, dato che, passato il casello doganale, anche la linea di mezzeria della strada cambia colore, diventando da bianca a gialla.  Nelu cerca più volte, con vari espedienti, di trasportare Behran al di là del confine, ma c’è sempre qualcosa che non va per il verso giusto. Non si tratta di antieroica sfortuna; il punto è che il fallimento è ordinaria amministrazione. Sottotono sono non soltanto le nostre misere imprese, ma anche le nostre abituali sconfitte. La normalità è approssimazione che progredisce incerta verso una meta confusa. E questo film lo dimostra mantenendo un profilo volutamente basso, che si incaglia nella mediocrità del quotidiano, tra corde per stendere il bucato e barattoli di zuppa di patate, in mezzo ad un’umanità che ha poco tempo per pensare, poca forza per agire, e, soprattutto, poca voglia di osare un po’ di più.


Questo film è il primo lungometraggio di Marian Crisan. È stato selezionato come candidato all’Oscar 2012 per la Romania.

 

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