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Either Way

Regia di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson vedi scheda film

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La recensione su Either Way

di leporello
7 stelle

Un trentenne in crisi con la fidanzata a Vienna e il giovane fratello di quest’ultima, passano l’estate lavorando da cantonieri nello sconfinato landscape islandese, piantando paletti e dipingendo strisce segnaletiche per la circolazione stradale. Se si esclude, Rannveig, sorella di Alfred ed ormai prossima ex fidanzata di Finngbogi (una donna che non si vedrà mai se non in un’unica fotografia), i due hanno ben poco in comune, e dalla forzata convivenza entrambe cercano spesso rifugio in quel silenzio che il mondo circostante offre in piena abbondanza, rotto solo da qualche piccolo litigio, dal “toc” del mazzuolo di legno, e dai prolissi racconti delle esperienze notturne di “vita mondana” svolta nei fine settimana con cui il giovane Alfred intrattiene, spesso annoiandolo,  il compagno. E da un misterioso camionista che si ritrova a passare di lì di tanto in tanto, in mezzo a quel deserto, chissà perché. Se qualcuno si chiedesse come sia possibile realizzare un film solo con tre attori e mezzo, una tenda, un camion, una jeep e poco altro, troverà in questo piccolo gioiellino islandese di cinema minimalista, vincitore peraltro del Torino Film Festival del 2011 (e di conseguenza senza nessun tipo di distribuzione o altro tipo di  uscita in Italia), una confortevole risposta e, a mio parere, anche una gradita sorpresa. Dietro l’apparente pochezza nel quale tutto si svolge, in realtà Hafsteinn Gunnar Sigurosson piazza una serie di elementi importanti e tutt’altro che inconsistenti, caratterizzando Finnbogi come quello serio e responsabile, con la testa sulle spalle, costretto quasi al ruolo di baby-sitter dell’altro, infantile e incapace “anche solo di fare un nodo, o di pescare un pesce”. Quando però una lettera di Rannveig metterà una pietra tombale sulle speranze di Finnbogi, e Alfred si ritroverà all’improvviso e inaspettatamente alle prese con i dilemmi se affrontare o no un’involontaria paternità, i ruoli andranno improvvisamente in corto circuito, e niente sarà più come prima. A traghettare i due personaggi attraverso questo viaggio iniziatico alla scoperta di se stessi e all’accettazione e alla scoperta reciproca, è il misterioso camionista, apparentemente un rozzo ubriacone vagamente bugiardo, che si rivelerà invece una specie di maestro, o forse un angelo custode, visto che la sceneggiatura gli affianca sfuggevolmente una donna che c’è-ma-non-c’è, bisessuandolo (e dunque asessuandolo) come fece Godard in “Je Vous Salue, Marie” con l’arcangelo Gabriele.

Un film intelligente quanto semplice, delicato e profondo, trasognato e spiritoso, “Un Altro Modo” (è questa la traduzione sia del titolo originale che di quello internazionale) che aspetta di disvelarsi con pazienza e in incognita ai due ignari protagonisti, liberandoli dalle strettoie nelle quali si ritrovavano inconsapevolmente incastrati, e proiettandoli lontano, dentro quella jeep che gioiosamente sparisce come un puntino, piccola e lontana nel panorama immenso d’Islanda.

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