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Grandi speranze

Regia di Mike Newell vedi scheda film

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La recensione su Grandi speranze

di miss brown
6 stelle

Dura più di due ore e sembra che davvero non finisca mai! Eppure mi erano piaciuti molto sia il romanzo scritto da Dickens nel 1860, letto più volte fin dall'adolescenza, che il magnifico adattamento cinematografico di David Lean, un luminoso bianco e nero del 1946, protagonista il giovanissimo John Mills. E non è la storia che è “scaduta”, anzi, è ancora molto attuale.

Si racconta di Philip Pirrip, bambino di 10 anni rimasto orfano e allevato nelle campagne del Kent dalla collerica sorella maggiore, sposata al fabbro Joe, un brav'uomo che gli dà tutto l'affetto che la perfida moglie gli nega. La sua vita scorre triste e monotona, ma poi fa due incontri che gli cambieranno la vita. Un mattino al cimitero Pip viene aggredito da Abel Magwitch, un evaso che lo obbliga a portargli da casa del cibo e una lima per liberarsi dalle catene. Alcuni giorni dopo una nobildonna del paese, l'eccentrica Miss Havisham, ordina di mandarle il bambino al castello: suo unico compito sarà giocare e tenere compagnia alla coetanea Estella, anche lei orfana e adottata anni prima dalla stramba signora. Ma entrambe si stancano presto del nuovo giocattolo, con sua grande delusione. Alcuni anni dopo, diventato fabbro nella bottega del cognato, riceve da un avvocato di Londra la notizia che un ignoto benefattore gli ha assegnato una notevole rendita: a 19 anni Pip vede avverarsi così il suo sogno, diventerà un gentiluomo. Ma il titolo Grandi Speranze è crudelmente ironico: Pip è totalmente incapace di mettere a buon frutto la sua fortuna e scialacqua quasi tutto il suo denaro in compagnia di gente che lo sfrutta ma lo deride, assiste impotente al matrimonio della mai dimenticata, altezzosa Estella con un riccone debosciato, da piccolo stupido snob arriva a tagliare i ponti col povero Joe perché si vergogna di lui. Aveva sempre pensato che a beneficiarlo fosse stata Miss Havisham, ma scopre che invece era il violento Magwitch, tornato ora di nascosto dalla colonia penale in Australia a cui era stato rispedito. E a questo punto tutto precipita.

Dell'attualità della storia, dicevo: mi è venuto da pensare a certi personaggi di oggi, giovani campioni sportivi, protagonisti di spettacoli televisivi o vincitori di lotterie, che vengono a trovarsi di colpo in possesso di fortune ingentissime e si rivelano del tutto incapaci di gestirle. Ricordo che Gabriel Garcia Marquez, intervistato molti anni fa sull'argomento, definì Maradona “un povero milionario”: ma almeno il campione argentino aveva un dono, veniva ricompensato, anche se con cifre stratosferiche, per qualcosa che effettivamente sapeva fare meglio degli altri. Invece Pip, come certi personaggi della cronaca pettegola odierna, non ha fatto proprio nulla per meritarsi tutti quei soldi e non ha la cultura, l'intelligenza, la personalità, il nerbo morale per trarne qualcosa di buono. Dalle più deprimenti pagine di rotocalco sembrano provenire anche i giovani presunti amici della Confraternita londinese, figli di papà occupati soprattutto a spendere, a bere e a far danni. Altrettanto attuali il personaggio dell'avvocato: ipocrita, maneggione, abilissimo soprattutto nell'interpretare elasticamente le leggi a vantaggio di chiunque, purché paghi i suoi servizi, e quello dell'elegantissima Estella, gelida arrivista, incapace di sentimenti autentici, che si mette scientemente all'asta al migliore offerente.

Totalmente gotica invece, fin dal romanzo, la figura di Miss Havisham, la sposa truffata e abbandonata all'altare, che da allora è chiusa in casa nel suo abito bianco, al buio, immersa in una sorta di follia misogina, con tutti gli orologi fermati a quelle fatidiche 9,20 del mattino. Altrettanto difficile da proporre oggi l'intera storia del galeotto evaso Magwitch, tornato non si sa come per la seconda volta in Inghilterra con enormi ricchezze misteriosamente guadagnate, e dei successivi agnizione-fuga-carcerazione-processo: il romanzo venne scritto da Dickens a puntate per un giornale che grazie alla sua pubblicazione raggiunse l'astronomica tiratura di 100.000 copie (incredibile nel 1860, quando l'80% degli inglesi era analfabeta), e per questo esagerò forse un tantino negli sviluppi di una trama decisamente popolare. Resta comunque un capolavoro, un abilissimo mix di mistery e di analisi sociale scritto con spirito critico e spesso irriverente.

Il regista Mike Newell ha diretto assolutamente di tutto, da una quantità di serie e film per la tv con cui ha imparato il mestiere al folgorante BALLANDO CON UNO SCONOSCIUTO, dalle commedie romantiche come UN INCANTEVOLE APRILE, QUATTRO MATRIMONI E UN FUNERALE o MONA LISA SMILE al mitico DONNIE BRASCO, fino ai più recenti magico-avventurosi HARRY POTTER E IL CALICE DI FUOCO e PRINCE OF PERSIA: tutti film di buono se non ottimo livello, eppure qui ha fatto clamorosamente cilecca. La produzione BBC, abituale garanzia di qualità, faceva ben sperare, ma qui viene il dubbio che un iniziale progetto per una miniserie in 2-3 puntate sia stato tagliuzzato e compresso per farne un film per le sale. La sceneggiatura è a volte lentissima, con inutili vuoti, ed ha inspiegabili tagli che rendono a tratti la storia poco intellegibile. I personaggi di contorno (i parenti di Miss Havisham, i paesani, i compagni di bisboccia, clienti e aiutanti dell'avvocato) sono tutti ridotti a macchiette: colpa anche della scelta di acconciatura e trucco pesantissimi e costumi a dir poco sgargianti, che più che ispirati ai quadri di Turner o di Wilkie sembrano tratti di peso dalle vignette del Punch. Lo stesso vale per le scenografie forzatissime, sia per il maniero di Miss Havisham che doveva essere sì malridotto, ma non così esageratamente antiigienico, sia per gli affollatissimi esterni londinesi, con un fastidioso abuso di strade fangose, mentre gli interni sono o inverosimilmente colorati e sovraccarichi o miserrimi e fatiscenti.

Molto diseguali purtroppo anche le interpretazioni: il bel 22enne Jeremy Irvine (Pip) ha l'espressività di una sogliola del Mare del Nord e come quella sbatacchia qua e là, non sapendo palesemente che farsene del suo metro e 85 e delle sue lunghe braccia e gambe. Holliday Grainger (Estella) si limita a sgranare gli occhioni e a farci vedere quanti bei vestiti ha dall'indaco al porpora, perfetti per il suo incarnato di latte e i capelli di fiamma, ma nient'altro. Monocorde l'interpretazione di John Flemyng (Joe) diventato chissà perché da semplice e onesto fabbro quasi uno scemo del villaggio, mentre è viscido e pomposo quanto basta Robbie Coltrane (l'avvocato Jaggers). Lo snello ed elegante Ralph Fiennes si trasforma per l'ennesima volta con grande credibilità, questa volta nel volgare, violento e terrorizzante Abel Magwitch. La delirante Miss Havisham di Helena Bonham Carter sembra invece tratta di peso da un film di Tim Burton: e ho l'impressione che il regista californiano de IL MISTERO DI SLEEPY HOLLOW e di SWEENIE TODD avrebbe saputo regalarci un film magari meno fedele al testo originale, ma molto più divertente e saporito di questa minestrina tiepida.

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