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Sons of Norway

Regia di Jens Lien vedi scheda film

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La recensione su Sons of Norway

di mm40
5 stelle

Norvegia, 1978. Il piccolo Nikolaj perde la madre in un incidente stradale; il padre Magnus, architetto hippy ultrapermissivo, cade in depressione e tocca al bambino occuparsi di lui e della casa. Spinto da una rabbia interiore fuori dal comune, Nikolaj trova sfogo nel punk grazie alla prorompente carica dei Sex Pistols.

 

"Freedom is shit. Shit is freedom". Il concetto è elementare, ma tutt'altro che scontato. E nessun altro al mondo poteva veicolarlo con tanta forza e tanta credibilità, se non Johnny Rotten, che compare per una manciata di secondi nel finale di questo film, dettandone la morale di fondo. La libertà di cui dispone il piccolo Nikolaj è esagerata per un bambino della sua età: fuma, beve, esce dove, quando e quanto gli pare, ma è d'altronde fortemente responsabilizzato da una (materiale) mancanza materna e da un padre depresso, malato e incapace di alzarsi da letto. Così d'altronde Magnus, il genitore, l'ha cresciuto: architetto hippy ultrasinistroide, l'uomo incoraggia costantemente la ribellione nel figlio, generando ulteriore confusione in lui, mettendolo di fronte a una sostanziale impossibilità di sbagliare: tutto è giusto, nulla è riprovevole, la libertà è una gran fregatura: una vera merda. Nella merda c'è d'altronde la massima libertà: quando non si hanno più aspettative, nè sogni da realizzare, si può guardare avanti soltanto con il sorriso, sicuri di non fallire - o quantomeno di non poter peggiorare la situazione. Il testo fondamentale da cui prende spunto la sceneggiatura di Nikolaj (nome certo non casuale) Frobenius, impostata su temi sociali e politici come è ogni sceneggiatura scandinava, non è un libro: bensì sono le liriche di Johnny Rotten, voce e leader indiscusso dei Sex Pistols. Le cui canzoni risuonano più volte lungo il film, scandendo le fasi di una rapida crescita a cui solamente l'eccesso di libertà può porre un freno. Certo, qualche incongruenza è presente nella trama: un vero hippy non tollererebbe mai di ritrovarsi un figlio punk - specie se fanatico di quel Rotten che non ha mai avuto una sola parola gentile nei confronti dela generazione del '68 - e passi pure, ma più nello specifico, citando un episodio concreto della pellicola, un padre di famiglia di fronte a un ragazzino strafatto di alcol e droga, collassato e più morto che vivo non si proporrebbe di sostituirlo nell'immediato come batterista - o almeno non lo farebbe prima di aver chiamato un'ambulanza. Piccolezze comunque per un'opera che vive di una leggerezza inusitata per le tematiche trattate, come sempre nel cinema nordico all'avanguardia e in grado di descrivere una contemporaneità sociale (sì, anche se la storia è ambientata nel 1978, vi si ritrovano spunti senza difficoltà traslabili ai giorni nostri) distante anni luce dalla media dei pavidi e accomodanti prodotti del cinema italiano. Molto bene il cast, con l'esordiente Asmund Hoeg in testa e al suo fianco il navigato Sven Nordin (già in Elling, successo internazionale del 2001 a firma Petter Naess); in una particina c'è Per Schaanning (The art of negative thinking, Detektive Downs) e, come detto in incipit, compare brevemente anche Johnny Rotten. Quarta regia per il norvegese Jens Lien. 5/10.

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