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Sons of Norway

Regia di Jens Lien vedi scheda film

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La recensione su Sons of Norway

di OGM
8 stelle

Ogni generazione ha la propria rivolta, che è bene resti separata dalle altre. Ma quando, in seguito all’improvvisa morte della madre, il rapporto tra un padre e un figlio si fa  più stretto, e diventa  straordinariamente intimo e disperatamente appassionato, è quasi inevitabile che rivoluzioni vecchie e nuove si mescolino. Il legame tra Magnus, architetto norvegese dallo spirito alternativo, visionario, marxista, ecologista, ed il piccolo Nikolaj, che suona in un gruppo di punk rock, è la caotica sorgente di un’energia ribelle, diretta contro ogni forma di ordine costituito: è un grido lanciato contro un’umanità che non capisce ciò che le accade intorno, e come niente si lascia dominare dai poteri economici e politici.  L’uomo ed il ragazzo, nel 1978,  abitano in uno dei palazzoni squadrati ed anonimi di Rykkin; un quartiere dormitorio di recente creazione, che forse come Magnus spiega a Nikolaj -  è stato concepito soltanto come un imbuto puntato verso il centro commerciale, al fine di risucchiare in esso le migliaia di persone che vivono nella zona.  In quel vivaio dell’omologazione, l’uno impara dall’altro a non rassegnarsi all’uniformità e all’impotenza, cercando in tutti i modi di far valere il proprio pensiero indipendente. Si può iniziare, da adulti, celebrando una vigilia di Natale a base di banane, appese ai muri e sull’abete, e sparse sulla tavola del cenone. Si può proseguire, da adolescenti, decidendo di tagliarsi i capelli, strapparsi i vestiti e perforarsi la pelle con spille da balia. Il richiamo dell’ormai maturo genitore è un invito alla pace universale: quella che deve regnare tra i popoli e quella su cui si deve fondare il rapporto di ognuno con il proprio essere, fatto essenzialmente di un corpo che funziona secondo le leggi della natura, e che va dunque accettato, senza inutili pudori, per quello che è. La risposta del ragazzino è invece una generale dichiarazione di guerra, combattuta con la violenta provocazione della sporcizia e del brutto, sbattuti in faccia ad un mondo che resta stupidamente attaccato ai propri valori, inutili e ripugnanti come escrementi. Nikolaj ed i suoi amici fanno proprio il messaggio della popstar inglese che si fa chiamare Johnny Rotten, e il cui cognome contiene un esplicito richiamo al marciume che ha irrimediabilmente invaso la realtà. Anton, il capo della band, vuole ripagare lo schifo con uguale moneta, con una musica suonata volutamente male, graffiante, cacofonica e soprattutto  urlata, estrema, eccessiva. Tale è il carattere che, di lì a poco, finiranno per assumere anche le azioni di Nikolaj, che inizierà a praticare il vandalismo come una forma di terrorismo anarchico, dissacratore dell’autorità (vedi la bottiglia tirata in testa al preside, durante il discorso tenuto in occasione di una celebrazione nazionale) e distruttore delle cose date per acquisite (vedi il raid compiuto per spaventare la gente e svillaneggiare i beni materiali). Intanto Magnus rimane a casa a disegnare il progetto di un edificio trasparente, in cui ogni cosa è perfettamente visibile dall’esterno, in nome di una totale assenza di inibizioni. I due personaggi corrono uno accanto all’altro, andando contemporaneamente allo sbando, ma puntando in direzioni diverse. Da un lato gli stridori metallici, il look sovraccarico e gli sputi che prendono il posto delle parole, dall’altro il silenzio della meditazione, l’amore per il nudismo e la ricerca di un’armonia che si esprime anche attraverso le opere dei grandi filosofi ed i testi delle canzoni popolari. I cuori di Magnus e Nikolaj battono all’unisono, ma le loro inquietudini seguono strade divergenti. Un calmo pragmatismo si sposa con una fantasia arrabbiata, che alle utopie teoriche riguardanti la società ideale preferisce individuali sogni d’evasione, procurati con chimici artifici. Tuttavia, a prescindere dalle differenze,  il semplice fatto di non volersi arrendere alla normalità, e di continuare, nonostante tutto, a guardare oltre, è sufficiente a far scattare quella complicità che si concretizza spontaneamente sul campo, quando i portatori di due visioni incompatibili si ritrovano, insieme, nel momento di distruggere (il casotto di legno che Magnus aveva montato sul suo furgone, che ora deve essere preparato per la vendita) e di costruire (un rottame di motocicletta che Magnus ha rimediato, e che bisogna rimettere in sesto per andare in vacanza).  Con Sons of Norway, il regista Jens Lien  e lo sceneggiatore Nikolaj Frobenius ci regalano un trasgressivo canto a due voci, segnato dal dolore e venato di follia, ma intensamente avvolto da un mistero che fa di tutto per non sembrare amore, eppure ha tutta l’aria di esserlo. E intanto, la sua anima altalenante appare creativamente indecisa se voltare le spalle alla vita, o al contrario guardarla dritta in faccia, con tanta voglia di prenderla a schiaffi.   

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