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Pollo alle prugne

Regia di Vincent Paronnaud, Marjane Satrapi vedi scheda film

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La recensione su Pollo alle prugne

di EightAndHalf
4 stelle

Mettiamo in bocca alla Morte parole come 'La vita è un gioco, un'immensa scacchiera" etc. per giustificare il frivolo Pollo alle prugne. Sulla scia del già non tanto convincente Persepolis, figlio di un cinema estetizzante che trova il suo promotore l'ultradiscontinuo Jean-Pierre Jeneut, il film di Marjane Satrapi e Vincent Paronneaud si perde in un ammiccante e scontato stile kitsch che fa della superficialità la sua parola chiave, e del macchiettismo il centro di qualunque introspezione caratteriale. Fermi nella convinzione di dover rivalutare la cultura e lo stato iraniano oggi bersagliato da numerose generalizzanti affermazioni di discriminazione (intenzione lodevole e nobile), i due registi rielaborano la graphic novel della Satrapi per realizzare un pasticcio furbetto e poco raccomandabile, che gioc(hicchi)a con la vita e la morte, non all'insegna di un'ironia sarcastica e macabra, ma in nome di un tono fiabesco e assai fragile. Tra simbolismo elementare (Iran è una donna bellissima ma che invecchia precocemente) e lo snervante Jamel Debhouze che si cimenta in due piccole apparizioni ridicole, la pellicola si trascina senza interesse concependo gli attori come pedine da trattare dispoticamente e da limitare assurdamente, pensandosi originale nelle trovate stilistiche da circo di ultima categoria ma disperdendosi nella funesta e ostentata autorialità. Si salverebbero alcune immagini al limite dell'espressionismo cinematografico, in finestre buie e minacciose che sovrastano un mucchio di bambini durante un flashback, ma andando avanti e indietro nel tempo in maniera meno efficace di quanto si creda, Pollo alle prugne non sa se essere allegro o straziante, vitale o destabilizzante, e questo non perché frutto di una sceneggiatura sfaccettata (che spreca il notevole Mathieu Amalric) e intelligente, ma per un'ignavia che incenerisce qualunqe intenzione, facendo entrare e uscire il film dalla memoria senza lasciare alcun piccolo posto, disturbando con la sua veemente pretenziosità e non demoralizzando per nulla nell'ultima sequenza (che avrebbe potuto essere salvifica) in cui sembra non esserci più nessuna speranza. Ma perché piangere, se la Morte compare allegramente a discutere e a porgerci con un incanto il posacenere, e il nostro fantasma da fumatori si condensa come un fuoco fatuo sopra le nostre tombe, testimoniando l'esistenza dell'anima? Religiosità spicciola, personaggi-giocattolo, esistenzialismo fuorviante, altissima abilità nell'accontentare il pubblico della domenica pomeriggio. Superficiale. Meglio recuperare Kiarostami e Panahi, più leggeri nella loro assordante semplicità.

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