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Il villaggio di cartone

Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film

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La recensione su Il villaggio di cartone

di FilmTv Rivista
8 stelle

Noi che aspettiamo i film mancati, come Il sergente nella neve e quelle altre cose spostate, nel corso degli anni, da un cassetto a una scrivania, al comodino e poi ancora nel cassetto, facciamo ormai i conti con il tempo. Spiazzati da Ermanno, perché «basta film». Felici perché «ancora uno». Della chiesa dove il “villaggio” s’imprigiona e si libera, vediamo sempre e solo l’interno, opaco e cementato. Il vecchio prete, con la barbona biblica di Michael Lonsdale, assiste con disperata impotenza alla rimozione del Cristo e al sacrilegio della sparizione di un Tempio. Fine, ma si rimette tutto in gioco quando, nello stesso istante, la chiesa incomincia a popolarsi di fuggiaschi africani, clandestini divisi tra la speranza di un futuro (con qualche eccesso di purezza) e la preparazione di un attentato di vendetta (una forzatura, nel contesto geopolitico). Tra il prete che pone le domande etiche, i clandestini che rivelano l’umanità dell’accoglienza, le guardie che compiono il delitto del rifiuto e il sacrestano che tradisce il suo mandato (Hauer, scelta giusta delocalizzare con volti stranieri) c’è anche un medico che segnala la sfiducia della scienza. Soltanto uno sguardo equivoco, bloccato sul principio di realtà, si ferma a certe pose didascaliche tra scena e cinepresa. La chiesa di Olmi è un bunker della resistenza, un’isola della Parola circondata dalla Violenza che inoltra il suo mare da ogni porta, dal tetto, dalle finestre. La chiesa dismessa di Olmi, smantellata dagli addetti e invasa dai reietti, diventa il palcoscenico di un oratorio sulla carità. È un film contro. Ermanno Olmi è un matto. Uno dei matti più dolci e lucidi di quest’Italia, di questo mondo incapace di vivere nella “prospettiva della fine”, cioè derubricando quotidianamente il Male e perseguendo quotidianamente il Bene. Come compito, non come inerzia. Come atto dovuto al futuro. L’elogio della follia gli si addice, perché con Il villaggio di cartone, un film teatro, uno stage movie insieme gentile e iconoclasta come ne faceva una volta Derek Jarman, ci lascia un’opera della ragione aperta alla sfida delle fedi e delle leggi.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 40 del 2011

Autore: Silvio Danese

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