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Le nevi del Kilimangiaro

Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Le nevi del Kilimangiaro

di giancarlo visitilli
8 stelle

Il coraggio di comprendere la propria vita, in un tempo in cui è da tutti chiedersi “ma in che mondo viviamo?”. Il regista marsigliese, Robert Guédiguian (Le passeggiate del Campo di Marte, Marie-Jo e i suoi due amori, Marius e Jeannette, Il posto del cuore, Lady Jane, Le voyage en Arménie, L'armée du crime), torna a raccontarci un’altra storia drammaticamente sociale, ispirata dalla “Les pauvres gens” di Victor Hugo e accompagnata dalla canzone di Pascal Danel, quella che dà il titolo al film.

La storia è molto semplice, di quelle a cui ci si è abituati quotdianamente. Tant’è che, nonostante il recente licenziamento, Michel trascorre una vita tranquilla e felice, insieme alla moglie, i figli, i nipoti, all’insegna di amici fidati e si lunga data, almeno fino a quando dei ladri non irrompono nella loro abitazione e, dopo averli picchiati, li derubano. Quando si viene a sapere che il colpo é stato organizzato da Christophe, un ex collega di Michel, licenziato insieme a lui, che deve mantenere i suoi due fratellini dopo che la madre li ha abbandonati, Michel e sua moglie decidono di prendersi cura dei fratelli di Christophe, sino a quando questi non esca dal carcere.

Il dramma sulla disoccupazione e quindi sulla dolorosa perdita della dignità, che si accompagna ad una interessante riflessione sul perdono, sul desiderio/impossibilità di riscatto.

Guédiguian ha confezionato un’opera in cui aleggia un clima lieve e gioioso, in cui c’è tempo e spazio per il sorriso, ma anche l’esigenza che qualcosa continui: è straordinario il modo in cui è evidente una sorta di seduzione della voglia di vivere da parte dei due coniugi operai, che vivono di quello che la vita gli ha dato, una casa che hanno costruito e la famiglia che hanno formato ed educato, nell’onestà e nella solidarietà. Alla maniera di tutto il cinema di Guédiguian, in cui protagonista principale è sempre una certa eticità delle cose e delle persone, ogni spazio, da quello delle case, a quello umano del cuore delle persone, è sempre accogliente: si tratta di porte, finestre, braccia e cuori spalancati sul mondo e sulla società. In questa tutti, ma soprattutto i proletari, vivono la loro fragilità, come erranti, ma tenaci cercatori, nel comprendere, poi, la generosità dei gesti e dei volti.

Il regista francese si affianca daccapo ad un cast d’attori eccellenti, da Ariane Ascaride, allo straordinario Jean-Pierre Darroussin, i cui silenzi e sguardi spaesati commuovono, lasciando nell’animo dello spettatore vero disincanto e desiderio di riassaporare, nonostante tutto, quel sentimento comune di appartenenza ad un’umanità che si vuol bene, è capace di essere ancora ‘coraggiosamente’ solidale. Lo spiega lo stesso regista: “il coraggio significa anche farsi carico della propria vita a livello individuale, insistendo sul legame tra la vita individuale e quella collettiva, l’individuo e la società. Il coraggio non si esplica solo nell’ambito della collettività: il coraggio c’è anche nella vita quotidiana di ognuno, nel modo in cui la si affronta, la si mette in pratica, nella propria morale. Marie-Claire e Michel si dicono che devono fare qualcosa. Hanno passato una vita a fare battaglie collettive, ma ora si accorgono che non basta più”.

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