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Il vaglia

Regia di Ousmane Sembene vedi scheda film

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La recensione su Il vaglia

di OGM
8 stelle

Un paese di ladri, bugiardi ed imbroglioni: tale è la desolante immagine che, con questo film, Ousmane Sembène ci consegna della sua patria, il Senegal. Tuttavia egli aggiunge, nel finale, un messaggio di speranza, che suona come un’esortazione rivolta ai suoi connazionali, un invito ad impegnarsi insieme per il cambiamento. La vicenda di Ibrahima Dieng, marito autoritario e vanitoso di due donne, però squattrinato ed analfabeta, ci restituisce i due opposti volti del degrado, entrambi ugualmente deleteri per la dignità della persona e per lo sviluppo della società: da un lato le rivalità e le gelosie intestine, che creano squilibri ed ingiustizie, dall’altro la mancanza di lavoro e di cultura, che condanna all’arretratezza permanente. Uno spaccato dell’Africa post-coloniale, che parla di soldi ma non produce, e punta alla ricchezza, ma non progetta: ed anche un ritratto di un popolo che ha conosciuto l’urbanizzazione in maniera forzata e disomogenea, subendo tutti i devastanti effetti tipici dei lavori mal eseguiti e lasciati a metà. In questo caso, a rimanere incompiuto è stato il processo di modernizzazione amministrativa avviato nell’epoca coloniale: chi, come il povero Ibrahima (senza documenti, con una sola carta che lo dichiara “nato intorno al 1900”) ne è rimasto escluso, non ha ora alcuna possibilità di uscire dalla fascia di emarginazione in cui si trova relegato. Essendo sbarrate le vie ufficiali, rimangono percorribili solo quelle sotterranee, che però, richiedono, a titolo di pedaggio, il famigerato obolo da consegnare ai soliti funzionari compiacenti (o ai soliti millantatori senza scrupoli).  Il clientelarismo della povera gente è la versione in doppio petto della mendicità, così come la truffa è la forma burocratica del furto: la corruzione si camuffa, e si rende così irriconoscibile a chi non è sufficientemente istruito, e magari poco accorto. Ibrahima è il classico uomo del villaggio, che non vede oltre i confini della sua tribù: e per questo le sofisticherie della modernità si trasformano, per lui, in micidiali trappole. All’interno della sua famiglia è il capo autoritario che è impossibile da dominare; però, al di fuori del perimetro della sua modesta abitazione, è l’uomo ignorante e sprovveduto che è fin troppo facile da raggirare.  In questo modo, egli è destinato a non crescere, a rimanere piccolo in un mondo che, per i propri scopi, lo vuole eternamente perdente. Il suo destino è quello dei deboli   - persone, gruppi, o popoli – a cui i potenti negano tutte le armi di difesa, a cominciare dalla possibilità di sapere e di pensare.

 

Il film è girato in  wolof,  la lingua autoctona più diffusa in Senegal.

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