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Il primo uomo

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su Il primo uomo

di steno79
8 stelle

Oltre ad essere un bravo regista, forse uno dei maggiori del cinema italiano contemporaneo, Gianni Amelio è anche un grande cinefilo. Chi non ricorda, fra i lettori del Film Tv cartaceo, la sua serie di articoli "Collezione Grande Cinema", pubblicati settimanalmente a partire dal 1999 fino al 2007, sotto la direzione di Emanuela Martini, e poi raccolti in volume con il titolo "Il vizio del cinema: vedere, amare, fare un film", pubblicato da Einaudi? Quando compravo la rivista, per me era un appuntamento imperdibile, e Amelio deliziava il lettore con la sua sapienza cinefila, il suo amore per il cinema a 360 gradi, paragonabile a quello di un Truffaut, nonchè molti aneddoti tratti principalmente dalle sue esperienze giovanili, quando studiava al Centro Sperimentale e muoveva i primi passi nel mondo del Cinema. Come lettore della rivista gli dovrò sempre qualcosa, come spettatore gli sono ugualmente affezionato: ho visto alcuni tra i suoi film più importanti e in genere mi sono piaciuti, anche "Le chiavi di casa" del 2004, che raccolse meno consensi del previsto. Questo "Le premier homme" mi ha stupito in positivo per diverse ragioni, e in primis perchè non pensavo che Amelio se la sarebbe cavata bene al di fuori del suo territorio naturale, che è l'Italia. Qui il regista si dedica ad un adattamento di un romanzo incompiuto e autobiografico dello scrittore Premio Nobel Albert Camus, che rievoca soprattutto la sua infanzia di "pied noir" povero nell'Algeria degli Anni Venti. Nel film le scene dell'infanzia hanno un peso narrativo importante, ma sono rievocate in flash-back, alternati ad altre scene in cui lo scrittore, ormai famoso e adulto, torna in Algeria a trovare la madre e trova il paese sull'orlo della guerra civile (che è stata magistralmente raccontata da Pontecorvo in "La battaglia di Algeri"). L'alternanza fra scene del presente e del passato è risolta con efficacia, non si avvertono quasi mai squilibri narrativi, anche se personalmente mi sembra che le scene dell'infanzia abbiano un fascino lirico e figurativo superiore (bellissima, ad esempio, la sequenza in cui il piccolo Jacques assieme ad alcuni amici va a liberare alcuni cani tenuti in gabbia, in seguito viene acciuffato e punito dal guardiano algerino venendo rinchiuso proprio in quella gabbia, e infine viene liberato da un bambino del luogo, che in cambio gli chiede il suo bel paio di sandali). Anche le scene in cui compare la nonna, severissima, lasciano il segno a causa della sofferta moralità dell'anziana donna, così come importante risulta la figura del maestro che trasmette a Jacques l'amore per la cultura e gli infonde la speranza di poter diventare uno scrittore un giorno. Inoltre, il film risulta tutt'altro che estraneo al mondo poetico di Gianni Amelio, soprattutto nella tematica, prevalente in tutta la sua filmografia, della ricerca affannosa del Padre (e sembra che il produttore francese Bruno Pesery gli propose il soggetto proprio tenendo conto di ciò, poichè conosceva i suoi film precedenti). Nel cast spicca il bravo Jacques Gamblin nel ruolo dello scrittore alter-ego di Camus: anche se non sono moltissime le scene in cui compare, l'attore francese è misurato ed espressivo al punto giusto; ben diretti anche gli altri interpreti, fra cui la nostra Maya Sansa nel ruolo della madre di Jacques da giovane, e Denis Podalydes, molto incisivo nel ruolo del maestro; ma una menzione d'onore anche al piccolo interprete Nino Jouglet, convincente e sorprendente come Albert Camus da bambino. Da quanto ho letto, credo che il film non abbia avuto grossi riscontri commerciali o molta diffusione, ma è un peccato: pur essendo un prodotto di nicchia, merita di essere visto da un pubblico più ampio per apprezzare l'intelligenza del regista e il suo coraggio nel rinnovarsi con un materiale narrativo che poteva facilmente scadere nella banalizzazione.
voto 8/10  

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