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Il primo uomo

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su Il primo uomo

di michemar
8 stelle

Il cinema italiano d’autore esiste ancora e questa opera dimostra che oltre a vivere ha una salute eccelsa. Diciamo che è come una persona che esce poco di casa, ma quando va a passeggio la gente si gira per ammirarla. Gianni Amelio ha forse fatto il suo film più bello e personale. Lo si avverte nei dialoghi così accorati e sentiti, perché scritti con il cuore ed il ricordo: il libro incompiuto di Camus da cui è tratto ha poco o niente in comune nei dialoghi. Difatti Amelio, autore anche della sceneggiatura, racconta la storia sua e dello scrittore come fosse la stessa. In sede di presentazione il regista calabrese ha confessato la coincidenza tra la adolescenza del filosofo e saggista franco-algerino e la sua e questo gli ha permesso di scrivere la storia traendo ricordi dalla propria memoria. La povertà, l’assenza del padre, la famiglia guidata da due donne hanno caratterizzato entrambe le adolescenze. "Camus parla dell'Algeria degli anni '20, ma e' identica alla Calabria degli anni '50 incui sono vissuto io” ha spiegato Amelio.

 

 

Il film racconta con tanta tenerezza la fanciullezza del protagonista ed è dominato appunto da queste figure: una nonna severa ed autoritaria e nello stesso tempo affettuosa; una mamma, presto vedova, dolcissima; un maestro che, più che insegnante, è il suo mentore e guida, quasi un secondo padre; uno zio a cui si lega fortemente; un difficile compagno di scuola che lui cercherà tanti anni dopo. E su tutti aleggia la pesante assenza di un padre, morto tanto presto in guerra, di cui il bimbo ormai adulto vorrà conoscere meglio nei ricordi della mamma e nelle foto e cartoline amorevolmente ancora conservate in casa. Il tutto ambientato nella povertà di quei (questi?) tempi. Nella povertà si può crescere seguendo cattive strade o, se ben guidati dalla famiglia e da un bravo maestro, la strada della cultura e dell’onestà, soprattutto intellettuale. E seguendo questa strada, Jean Cormery (alter ego di Albert Camus) parte dalla sua Algeria e va in Francia, considerata la madre patria, ove diventa uno scrittore celebrato e letto. Il ricordo perenne del padre morto così giovane lo porterà alla ricerca della sua tomba e alla ricerca del suo passato, dei suoi ricordi, della sua infanzia. In Algeria, invitato dagli studenti universitari, cercherà il vecchio maestro, il vecchio compagno di scuola, ma innanzi tutto seguirà le tracce e gli odori familiari. La bellissima mamma gli addolcirà l’asprezza della rivoluzione algerina, fatta già allora da attentati, studenti in rivolta, sangue e condanne alla pena capitale e lo farà riposare dalle polemiche politiche che lo affliggono, in quanto in patria lo accusano di essere ideologicamente dalla parte sbagliata. La presenza militare francese in Algeria, filmata magistralmente nel ’66 da Gillo Pontecorvo, ricorda tanto le occupazioni militari oggi in Medio Oriente e vedendo alcune scene sembra di guardare un film girato sull’intervento americano in Iraq.

 

 

La bravura di Gianni Amelio sta nel condurci per mano in una storia dolce, malinconica e dura nello stesso tempo, con una recitazione sempre pacata e misurata per merito di un gruppo di attori bravi e ben diretti. Eccellente la presenza di Jasques Gamblin nei panni del protagonista, calmo e riflessivo, ma rimangono impresse nella mente anche le donne cardini della sua vita: la mamma, sia quella giovane interpretata dalla bella Maya Sansa (bravissima!) in Italia chissà perché così poco utilizzata, sia quella anziana, e la mitica nonna severa. L’importanza di quest’ultima opera di Amelio è dimostrata dal numero di attori italiani di primo piano che si sono prestati al doppiaggio dei protagonisti: Pierfrancesco Favino, Ilaria Occhini, Kim Rossi Stuart, Sergio Rubini, Giancarlo Giannini, Ricky Tognazzi.

 

 

“Chi scrive non è mai all'altezza di chi muore”, l’amaro commento iniziale dello scrittore.

Film coinvolgente, VIVA IL CINEMA ITALIANO DI QUALITA’!

 

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