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Mississippi Burning. Le radici dell'odio

Regia di Alan Parker vedi scheda film

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La recensione su Mississippi Burning. Le radici dell'odio

di ProfessorAbronsius
8 stelle

Un film bellissimo, non da vedere, da insegnare. Voto: 8 antirazzista

 

Disgustato dai conati e rigurgiti razzisti che oggigiorno sembrano straripare da ogni dove, come un fiume in piena che travolge e stravolge la nostra coscienza di esseri umani trasformandola in un abominio di intolleranza, paura e odio dalle radici profonde, ho deciso di fermarmi dalle parti del Mississippi, nel profondo Sud di un'America che non ha mai smesso di guerreggiare con se stessa, ancora lontana dal trovare una "pace etnica" che possa sancire la fine di una violenza neo-segregazionista che ancora insanguina il paese di Abramo Lincoln, di JFK e del reverendo King. Terra di contraddizioni, l'America di uncle Sam e di uncle Tom è anche, e purtroppo, la patria di Dylann Roof, responsabile della strage di Charleston nel 2015 (https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Charleston) e di altri infiniti esempi di barbarie razzista che ciclicamente tornano alla ribalta. 

 

C'è un filo rosso (verrebbe da dire rosso sangue) che lega Lincoln, JKF, King ad altre tre importanti figure di americani dalle cui vicende è stato tratto lo spunto per la realizzazione di Mississippi Burning: sono James Earl Chaney, Andrew Goodman e Michael Schwerner, attivisti del movimento dei diritti civili assassinati una notte del giugno '64 da alcuni membri del Ku Klux Klan. Ed è appunto l'assassinio, maturato in un clima infuocato di violenza razziale, il filo insanguinato che avvinghia i tre esempi storici di America antirazzista e antischiavista ai tre giovani attivisti che hanno spinto l'engagé Alan Parker a realizzare una delle sue opere più riuscite (secondo me, seconda solo a Fuga di mezzanotte).

 

"La razza non esiste in biologia. La razza è una costruzione culturale", direbbero fior fiori di studiosi. Non è dello stesso avviso Clayton Townley (un bravo Stephen Tobolowsky), businessman mississippiano e portavoce dei Cavalieri bianchi del KKK:

"Noi non accettiamo gli ebrei, perché loro respingono il Cristo, e il loro controllo dei cartelli bancari internazionali è alla radice di ciò che si chiama comunismo. Noi non accettiamo i papisti, perché si inchinano a un dittatore romano. Non accettiamo turchi, mongoli, tartari, orientali né negri, perché noi siamo qui per proteggere la democrazia (leggasi imperialismo) anglosassone e lo standard americano (leggasi suprematismo bianco)".

Gli agenti federali Alan Ward e Rupert Anderson (rispettivamente un grande Willem Dafoe e un grandissimo Gene Hackman) sono chiamati a indagare la scomparsa dei tre attivisti nella contea di Jessup. L'atmosfera che si respira è pesante e opprimente come quella che ritroviamo nelle pagine di Faulkner, siamo infatti catapultati nelle viscere di un'America ammalata che sta bruciando di odio. Mettiamo l'orologio indietro di un secolo, e ci immergiamo con loro nelle acque del Mississippi, sporche di sangue e di cadaveri "di seconda mano" (per inciso, anche se nel film non viene menzionato questo evento, è importante ricordare che quando i sommozzatori andranno alla ricerca dei corpi degli attivisti, tireranno fuori dalle acque del fiume otto cadaveri di persone di colore la cui scomparsa non aveva fatto notizia se non nelle cronache locali). 

Il rude e navigato agente Anderson, mississippiano che ben conosce le dinamiche sociali della sua terra, riuscirà coi suoi metodi poco legali a dare una svolta alle indagini e a perseguire i responsabili del triplice omicidio (altro fatto aberrante, verranno condannati solo alcuni di essi dalla corte federale, e per crimini legati alla violazione dei diritti civili, non per omicidio. Bisognerà aspettare quarant'anni circa perché uno solo degli aguzzini venga condannato dallo Stato del Mississippi per omicidio preterintenzionale). Come dice Gene Hackman in una delle scene più significative del film: "Questa gente qua è uscita dalle fogne [...] ed è proprio nelle fogne che dobbiamo combatterla". E sono ancora le parole dell'agente Anderson ad avvicinarci al significato autentico delle Radici dell'odio, perché, come lui stesso racconta all'agente Ward, suo padre "era così pieno d'odio da non capire che era la sua povertà che lo uccideva". Una povertà materiale e culturale che continua a uccidere, il cui spettro continua a serpeggiare a più di mezzo secolo di distanza, anche in "casa nostra", nell'odierna Europa unita in nuove e striscianti forme di imperialismo e segregazionismo (l'Europa dei neonazionalismi incipienti, l'Europa, se di Europa si può parlare, dell'aiutiamoli/mandiamoli a casa loro). 

 

Guardo il mio mare pullulante di bagnanti vacanzieri, lo Ionio che è parte di quello sconfinato cimitero marino qual è diventato il Mediterraneo, e mi sento un po' colpevole, e la penso esattamente come l'agente Ward: "è colpevole chiunque veda accadere queste cose e finga di non vedere [...]. Forse lo siamo tutti".

 

 

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