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I Tre Moschettieri

Regia di Paul Anderson vedi scheda film

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Sam Gamgee

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La recensione su I Tre Moschettieri

di Sam Gamgee
8 stelle

 Avete presente "I tre moschettieri" di Alexander Dumas? Bene, allora dimenticateveli, perché questa è l'unica condizione per poter guardare con una certa tranquillità questa nuova versione targata P. W. S. Anderson.D'altronde i cambiamenti rispetto all'originale sono piuttosto vistosi: da Milady che si butta dai palazzi come Spider man e combatte con mosse ninja al duca di Buckingam che svolazza sui cieli di Parigi sopra una specie di dirigibile munito di cannoni e mitragliatori, per non parlare del re Luigi XIII che parla e si muove come un gay.

Insomma siamo lontani mille miglia dalle avventure roccambolesche intrise di romanticismo del romanzo e molto più vicini al fumetto e al videogame. D'altronde il regista ha alle spalle film tratti proprio dalla consolle (la saga di Resident Evil, giusto per citare i più noti) e si muove su questo doppio binario saccheggiando spudoratamente da una parte all'altra. In fondo fa la stessa operazione di Guy Ritchie e del suo "Sherlock Holmes", solo molto più "tamarra" e gigiona. Nessuno infatti si prende mai sul serio, nemmeno il cardinale Richelieu (un divertito e ovviamente "bastardo" Christopher Waltz), perché la cosa importante è fare "caciara", mandando in vacca (passatemi il francesismo) dialoghi, trama e caratterizzazione dei personaggi che rimane abbozzata giusto per far capire al pubblico da che parte stare. Certo il citazionismo sregolato alla lunga stanca (qui si va da videogiochi come "Assassin's creed", "Call of duty" sino all'immancabile film "Matrix" o lo stesso "Sherlock Holmes" di Ritchie) e gira un po' a vuoto ed è soprattutto nelle sequenze in cui mescola anacronismi spudorati che Anderson da il meglio di sé: l'entrata in scena di Buckingam a Parigi con le navi volanti e il suo costume iperbolico quasi da rockstar del XV secolo è di quelle che non si dimenticano, anche perché spacca la Piazza d'armi del Louvre sotto gli occhi impietriti del re. Il resto con tanto di prologo a Venezia (che sembra una sorta di "tutorial" di un videogioco, con cui il pubblico impara ad avere dimestichezza con i personaggi) è una serie rutilante di quadri d'azione volutamente senza capo, né coda, frutto anche della fotografia iperspettacolare di Glen MacPherson che è una sorta di mix tra "il dipinto e photoshop" (definizione non mia ma molto calzante).

Tirando le somme e dimenticando di fare i puristi ci si diverte. D'altronde il film si prefiggeva questo obiettivo e lo centra in pieno. Senza tanti fronzoli e senza velleità artistiche. "Uno per tutti, tutti per uno", alla fine è sempre un piacere rivedere Athos, Portos, Aramis e D'artagnan sul grande schermo, malgrado il romanzo (e il film con Gene Kelly del 1948) siano tutt'altra cosa. Ma come ho detto all'inizio, basta non pensarci e lasciarsi trasportare da questo carro rumoroso. Perché la parola fine non è ancora arrivata.

ps. il 3D...ma perché? Questo si che è inutile.

 

Francesco Bellu

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