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Chantrapas

Regia di Otar Iosseliani vedi scheda film

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La recensione su Chantrapas

di OGM
8 stelle

L’ultimo film di Otar Iosseliani è una lunga ballata dedicata alla frustrazione d’artista. Il personaggio centrale, il giovane regista georgiano Nicolas, non riesce a portare al pubblico il frutto della sua creatività, perché è continuamente osteggiato dai poteri forti, che usano la burocrazia per salvaguardare i propri interessi a discapito della libertà d’espressione. In Russia, come in Francia, le  pellicole di Nicolas conosceranno tutte la stessa sorte: sforbiciate a dovere da una censura assoggettata alle ragioni della politica o dell’economia, finiranno per ridursi a merce inutile, tagliata su misura ed accuratamente ripulita, tanto da risultare totalmente anonima, oltre che priva di qualsivoglia valore simbolico. Mentre sul set cinematografico Nicolas cerca di sfogliare la realtà, fino a cogliervi i fiori della fantasia, dietro le quinte una mano tanto professionale quanto insensibile provvede a togliere quello che considera superfluo, mutilando il multiforme flusso della poesia. Una macchina impersonale interviene chirurgicamente sulle idee, spurgandole dagli eccessi della visionarietà, che è un’ebbrezza mai stanca dei propri incurabili vizi. In questo film si beve, e molto, e poi si canta, si suona, si balla, in una festa che coinvolge grandi e piccini ed ha come sede il mondo intero. Nella sua contagiosa allegria abbatte le bandiere ideologiche e religiose per diventare beffardamente promiscua, e pervenire all’universalità attraverso la trasgressione. L’impresa inizia con un gioco da bambini: il protagonista, insieme a due suoi amici, usciva da scuola e si attaccava alla maniglia del treno, per andare nel bosco in cerca di tesori, e magari rubare le icone sacre custodite nella cappella di un monaco eremita. Da grande, Nicolas, per girare un film,  proverà ad appendere, alla croce di Cristo, un dissidente fuggito dall’Unione Sovietica,  e costretto a  mendicare soldi e sigarette per la strada. Il politicamente scorretto è uno scherzo che parla seriamente delle verità scomode, quelle che sciolgono la lingua ed accendono l’immaginazione di coloro che non vogliono tacere e non possono fare a meno di pensare. Nicolas, per inseguire il suo sogno, emigra dall’est all’ovest dell’Europa, rimanendo però sempre e comunque imbavagliato da altri che decidono per lui.  Un muro di misteriosi accordi e leggi non scritte finisce per allontanare l’opera dal suo autore, destinandola a morire per maltrattamenti e mancanza di amore. L’invenzione è animata da un agile slancio vitale, ma è anche tanto fragile:  sgorga  dalla mente, sinuosa e leggera come una striscia di celluloide si srotola dalla bobina, ed in un attimo si ritrova alla mercé di estranei, calpestata, criticata, smembrata e rimessa insieme alla bell’e meglio. Metri di fotogrammi, che equivalgono ad intere ore di meditazioni visive, vengono separati dal corpo di un concetto nato per crescere e moltiplicarsi, ma subito reso sterile dall’intolleranza verso le novità. L’umanità è impaziente di restare sempre uguale a se stessa. Per questo si immunizza dalla curiosità, inoculando in ogni creatura potenzialmente rivoluzionaria il micidiale germe della noia. Manca la volontà di seguire gli sviluppi dei fenomeni che si presentano con l’infamante marchio dell’incomprensibilità.   In fondo basterebbe stare a guardare, mentre non succede nulla che ci risulti familiare, e la nostra attesa si trasforma nella ricerca dell’impossibile. Per noi spettatori, questa prolissità incantatrice è il magico rovescio dell’alienazione che colpisce chi sta dentro alla storia, vivendo questa inafferrabilità direttamente sulla propria pelle. Nicolas non gode del sostegno morale di nessuno, né in patria, né all’estero, e anche la sua famiglia sembra non riuscire a cogliere il nocciolo del suo problema. La sua gioventù è invisibile, in una società in cui a comandare sono i vecchi, pur con i limiti e le bizzarrie derivanti dall’età. Lui stesso si porta costantemente dietro l’ombra di suo nonno, a cui tutti lo paragonano e che, dopo avergli messo in mano una lettera di presentazione, gli ha anche prestato la sua giacca. Nicolas si sposta da un luogo all’altro, cinicamente ignorato, crudelmente respinto od ipocritamente corteggiato, ed ovunque lo circonda il senso di inutilità, tipico di un ambiente che resta fedele alle sue regole, senza troppo badare all’eccezione che disperatamente vi si aggira. In Chantrapas   l’insana rigidità di un mondo ingrigito è ritratta dalla prospettiva di un’anima inquieta, timida ed acerba, che si scontra continuamente con il suo cupo immobilismo. L’aria è ferma e pesante, però, grazie a quella presenza delicata, è attraversata da una vibrazione che a tratti si fa melodia. La musica è un residuo di illusione sfuggito alle maglie di un sistema che soffoca la gioia, spingendo chi, nonostante tutto, ancora la desidera, a cercarla nella classica utopia riservata a pochi.

 

Questo film ha rappresentato la Georgia nella corsa al premio Oscar 2012 per il miglior film straniero.

 

Il titolo è ispirato ad un termine della lingua russa che significa buono a nulla ed è a sua volta derivato dal francese chantera pas (non canterà).

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