Regia di Stelvio Massi vedi scheda film
Carlos Monzon aveva avuto (e stava ancora portando avanti, per gli ultimi scampoli) una grandissima carriera da boxeur. Purtroppo, però, l'atleta Monzon e l'uomo Monzon erano la stessa persona: un picchiatore violentissimo senza scrupoli, fuori e dentro il ring. Al di là delle sfortunate vicende personali e di quelle fortunate relative alla parabola sportiva, il boxeur argentino ebbe pure una parentesi da attore cinematografico - comprendente anche un titolo italiano e cioè questo Il conto è chiuso - che, a dire il vero, non fu neppure da cestinare. Nonostante il regista, l'esperto di poliziotteschi e affini produzioni di serie B Stelvio Massi, e la sceneggiatura del disastroso (qui meno del solito, a dire il vero) Piero Regnoli. Ma, come si è detto, Monzon era un duro a prescindere dal contesto in cui si trovava: picchiava sul ring, picchiava fra le mura domestiche e, guarda caso, ne Il conto è chiuso non fa altro che alzare le mani per cento minuti su chiunque gli capiti vicino. Il problema è che, a quanto si dice, anche sul set il pugile non sapeva contenersi e che i suoi colpi risultavano molto realistici, con grave disappunto dei malcapitati chiamati a incassare. In sostanza Il conto è chiuso non è un brutto lavoro: è solo un'opera mediocre diretta con il giusto piglio (ciò che prevale nella storia, chiaramente, è l'azione: Massi è a suo agio) e interpretata da una serie di volti abituali per il genere: Luc Merenda, Gianni Dei, Giampiero Albertini, Nello Pazzafini, Mario Brega, tanto per citare i più noti. Il nodo centrale della storia, in effetti, pare avere qualche somiglianza con quello di Per un pugno di dollari. Fotografia di Franco Delli Colli, musiche di Bacalov come sempre apprezzabili. 4/10.
Lo straniero arriva in città: l'energumeno Marco trova lavoro presso la famiglia malavitosa dei Manzetti; ma la tentazione del doppio gioco è forte e così collabora anche con i rivali Belmondo. Ovviamente il suo comportamento gli costerà seri problemi.
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