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L'istruttoria è chiusa: dimentichi

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'istruttoria è chiusa: dimentichi

di axe
8 stelle

L'architetto Vanzi è uno stimato professionista appartente al mondo dell'alta borghesia. Accusato di omicidio colposo ed omissione di soccorso in conseguenza di incidente stradale, finisce in carcere. Consapevole della scarsa consistenza delle prove a suo carico, ritiene di poterne uscire rapidamente; nel frattempo, s'impegna per migliorare la propria condizione di vita all'interno dell'istituto di pena. Grazie ad una forte tempra, alla sicurezza conferitagli dall'appartenenza ad una classe sociale agiata ed al proprio denaro, riesce a ritagliarsi una nicchia di privilegio. Non può, però, evitare di essere coinvolto nella dolorosa vicenda di un compagno di prigionia, destinato ad una ingiusta fine a causa del suo idealismo. Quest'opera del regista Damiano Damiani esprime una fortissima critica nei confronti della società borghese del suo tempo, della quale evidenzia l'ipocrisia, l'avidità, la brama di potere. Il microcosmo carcerario, nel racconto, non è altro che uno dei "teatri bellici" di questa umanità, che agisce mossa da tali valori negativi. Le fosche vicende che si svolgono nell'istituto hanno le loro radici nel modo di essere di un sistema politico, sociale ed imprenditoriale marcio e corrotto; in questa storia, ne è vittima il detenuto Pesenti, un uomo d'indiscutibile moralità, il quale è finito in carcere in conseguenza ad un'aggressione ad un professionista, conseguente alla scoperta del tentativo di occultare le responsabilità umane legate ad un grave disastro. Pesenti vorrebbe testimoniare contro il "sistema", ma i suoi antagonisti si difendono, prima tentando di comprarne il silenzio, poi, non essendo riusciti, "suicidandolo". L'ondivago protagonista raccoglie le confidenze dell'uomo, ma le tiene per sè, in assoluta complicità con il "sistema", del cui mondo, di fatto, è parte. Non è, pertanto, un uomo migliore di quelli che mostra a più riprese di disprezzare; tanto di un detenuto, Salvatore Rosa, un faccendiere in grado di esercitare un controllo su tutto ciò che avviene nel carcere grazie agli appoggi sui quali può contare all'esterno, quanto del maresciallo a capo dei secondini, destinato a barcamenarsi tra la necessità di garantire l'ordine tra i carcerati, salvare le apparenze - in presenza dell'inetto direttore del carcere e delle personalità che, in occasione di frequenti visite nell'istituto carcerario, verificano, con superficialità, le condizioni dei detenuti - e trarre qualche vantaggio dal quel (piccolo) potere che gli è stato assegnato, raccogliendo le "briciole" che cadono dai tavoli della "gente che conta". La critica è però di porta molto più vasta, non si ferma al personaggio di Vanzi. L'uomo mostra di avere dei saldi principi. Rispetta il suo prossimo e sa farsi rispettare; non condivide nulla con i criminali violenti e di basso livello sociale con i quali è inizialmente affiancato, cerca un rapporto umano con le persone di buona indole e rango più elevato; trova naturale usare il denaro per garantirsi un trattamento migliore. Le sue difficoltà iniziano quando i soldi "perde valore"; non essendo più accettato, è costretto a fare altro per poter concludere in buone condizioni il suo breve periodo di detenzione. Potrebbe ribellarsi, uscire dal "gioco", ma non lo fa. Nonostante le sue tribolazioni emotive, non cè sfiorato dall'idea di tradire le regole del'ambiente sociale cui appartiene; ed infine, essendo stato complice, ad esso è restituito. Non sappiamo se ha commesso ciò di cui era accusato - anche se al volante si mostra particolarmente aggressivo. Tuttavia, le ultime sequenze del film lo mostrano circondato di suoi pari, i quali gli chiedono della recente esperienza, e lo compatiscono per quanto avvenuto, consolandono con l'invito a trarne degli insegnamenti per il futuro. Vanzi ritrova il benessere e l'armonia familiare; si prepara a scrivere un libro sulla sua vita in prigione, con l'invito a citare l'omosessualità, elemento ritenuto tradizionalmente serpeggiante nell'ambiente carcerario, nonostante nulla inerente ad esso sia mostrato dal regista. L'onesto, coraggioso, idealista Pesenti è destinato all'oblìo. Buono il livello della recitazione; trovo valida la scelta di affidare a Franco Nero il ruolo del protoganista. L'aspetto sincero e pulito del suo volto stride fortemente con la connotazione del personaggio che si rivela essere. I comprimari sono costuiti da carcerati e carcerieri, rappresentati con realismo. Alcuni reclusi hanno perso ogni fiducia nel futuro, sono rassegnati alla detenzione e ragionano in funzione di ciò. Gli stessi secondini appaiono demotivati, quasi rassegnati a far quel lavoro poichè non sono riusciti a trovare di meglio. Il film è diviso di fatto in due parti; la prima mostra l'ambientamento del protagonista nel complesso ambiente carcerario; la seconda porta in scena la triste vicenda di Pesenti, dando un esempio di quelle dinamiche introdotte precedentemente. Nonostante, abbia visionato una versione immagino tagliata, almeno nei titoli, del film (collana "I Grandi Successi Del Cinema Italiano in DVD"), ho molto apprezzato l'opera; alta tensione, buone prestazioni attoriali, fortissima carica di denuncia, non tanto (o non solo) sulle condizioni carcerarie, bensì su un'intera societa borghese, in piena decadenza morale.

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