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Mio fratello è figlio unico

Regia di Daniele Luchetti vedi scheda film

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La recensione su Mio fratello è figlio unico

di Paul Hackett
8 stelle

Nel solco tracciato dalla "Meglio Gioventù" di Marco Tullio Giordana, un intenso racconto di formazione, ambientato nell'Italia degli anni '60-'70, sulla presa di coscienza politica e sociale e sui percorsi paralleli (che forse s'incroceranno) di due fratelli tra loro diversissimi (eppure in qualche modo identici). Daniele Luchetti, dopo parecchi tentativi non sempre a fuoco, finalmente riesce ad imbroccare il suo capolavoro (o quasi): "Mio fratello è figlio unico" è un gran bel film, un affresco vitale e potente di un fondamentale periodo della storia italiana recente (una vera e propria miniera di storie), una vicenda corale eppure raccontata paradossalmente attraverso un approccio minimalista e apparentemente dimesso, una struggente saga familiare dalla profonda provincia italiana. I difetti, in questa pellicola tratta da un romanzo di Antonio Pennacchi, ci sono e sono anche abbastanza evidenti: molti personaggi sono appena abbozzati (a cominciare dai familiari di Accio e Manrico che avrebbero meritato un maggiore approfondimento), la società e la storia italiana restano fin troppo sullo sfondo rendendo difficile (per chi quegli anni non li ha vissuti) collocare le vicende dei protagonisti nel contesto al quale appartengono e, soprattutto, il film è profondamente (e innaturalmente) scisso in due parti ben distinte, vitale, agrodolce e quasi con il sapore della commedia la prima (bellissima) metà, troppo stringata, meccanica e banalizzante la seconda (dai toni ben più drammatici) che risolve senza sciogliere del tutto la maggior parte dei nodi narrativi della storia. Eppure, nonostante questi difetti (e anche qualcun altro che sarebbe lungo e noioso elencare) il film "funziona", specie grazie all'ottima prova di un cast ricco e convincente, sul quale giganteggia un Elio Germano inquieto, "schizzato" e davvero indimenticabile. Bene anche Angela Finocchiaro, Luca Zingaretti, Diane Fleri e Alba Rohrwacher. Discorso a parte merita Riccardo Scamarcio (forse troppo spesso sottovalutato dalla critica nelle sue capacità d'attore): il suo Manrico diventa una sorta di specchio deformante dell'Accio di Elio Germano, due fratelli che sono due lati diversi della stessa medaglia, in qualche maniera metafora di un'Italia eternamente scissa in due anime distinte e quasi sempre opposte in un'interminabile guerra fredda fratricida, fino a scoprire (quando forse è ormai troppo tardi) di essere praticamente identici. Suggestivo ma abbastanza fuorviante e del tutto surrettizio il titolo (tratto da Rino Gaetano) scelto da Luchetti per sostituire quello ben poco cinematografico del romanzo originale di Pennacchi ("Il fasciocomunista"). Nell'insieme un gran bel film: voto positivo.

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