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Il regista di matrimoni

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Il regista di matrimoni

di Aquilant
4 stelle

Dopo aver illustrato con dovizia di particolari nell’”Ora di religione” l’inquinamento operato dalle istituzioni ecclesiastiche all’interno della nostra società, Bellocchio torna nuovamente alla carica con toni più sottili e velati, sovraccaricando di elementi stranianti e di vuoti (quasi) a perdere il suo personalissimo ritratto di un’Italia bigotta e conformista, inframmezzato da appunti ironici e da una certa dose di humor nero (che risalta in modo evidente nella scena onirica della carneficina in chiesa). E stavolta ad essere preso di mira è il matrimonio inteso come una resa definita, incondizionata, che permette ai figli di entrare “nel mondo obbediente e razionale dei padri e dei padri dei padri che prima di loro si erano sposati''. E da una dichiarazione dello stesso regista si evince chiaramente la sua rabbia repressa nei confronti di tutto ciò che risulta conforme e corrispondente ai tradizionali valori della famiglia: ''Ho assistito ad un matrimonio di una giovane coppia a Scilla, in Calabria, e c'era un regista che filmava l'evento. Mi ha colpito l'obbedienza che i due sposi hanno messo in atto facendo tutto ciò che gli si chiedeva di fare. Ecco, questa obbedienza, senza fare domande, in due giovanissimi che hanno tutta la vita davanti a sé mi ha fatto riflettere: la vita è fatta anche, per fortuna, di rifiuti, di disobbedienza, di ribellioni all'ordine costituito, perché loro la accettavano come fosse stata già preordinata?” Fedele dunque ai suoi consueti dettami provocatori e polemici, il regista sceglie di mettere in pratica la famosa frase presente nei Promessi Sposi: “Questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai!”, sostituendo i due bravacci con un onnipresente Castellitto dalla sorprendente ricchezza di espressioni facciali (una), più scostante ed indisponente che mai e costantemente straniato come da copione, e servendosi per i ruoli di Renzo e Lucia di una coppia che più (dis)assortita non si può: lei “bella con anima” gentile e delicata, una Donatella Finocchiaro Bona di nome e di fatto, lui “brutto senz’anima” ma con quattrini a iosa in grado di risollevare lo spiantato papà. Ancora una volta viene offerto in pasto allo spettatore uno spezzatino di sequenze assortite contraddistinto dallo sforzo spasmodico del regista di effettuare un trattamento il più possibile personale della materia narrativa allo scopo di rendere appetibile la numerosa quantità di carne posta a cuocere a fuoco lento. E come di consueto il tema centrale della storia resta incentrato attorno alla capacità individuale di scrollarsi di dosso ogni sorta di parvenza di conformismo perbenista tramite la riproposizione incondizionata della propria individualità aliena a qualsiasi sorta di costrizione derivante da dettami cattolici più o meno desueti, secondo l’autore, in una società à la page assiomaticamente protesa verso il futuro. Balza inoltre con ovvietà agli occhi il sassolone che Bellocchio si toglie dalla scarpa tramite il suo alter ego Gianni Cavina nella parte del regista Smamma, costretto a fingersi morto per ricevere uno straccio di riconoscimento, ossia il David di Michelangelo, evidente bordata polemica nei confronti della giuria cinematografica che nel 2003 ha negato a lui, superfavorito, il Leone d’Oro della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia preferendogli il giovane regista russo Andrej Zvyagintsev. Ed alla fine, nonostante l’incedere circospetto ma deciso del ritmo filmico tra grumi di sogni e brandelli di realtà e l’abbondanza di inserti digitalizzati che tentano di aggirare la limitatezza della visione dell’occhio tramite l’opacità di uno sguardo dalle valenze quasi metafisiche, ancora una volta si resta alla fine con un bel po’ amaro in bocca e la sensazione di aver pagato il biglietto per un bel po’ di aria fritta inscatolata all’occorrenza!


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