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Tristano & Isotta

Regia di Kevin Reynolds vedi scheda film

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La recensione su Tristano & Isotta

di Aquilant
4 stelle

A scanso di equivoci, si consiglia a chi non ha mai avuto prima d'ora occasione di trovarsi a tu per tu con l’avvolgente vicenda di “Tristano e Isotta” di saltare a piè pari la visione di tale tipico esempio d’infedeltà letteraria onde non farsi un’idea totalmente errata della suggestiva saga cavalleresca e procurarsi possibilmente la riscrittura di Joseph Bédier pubblicata nel 1900, vale a dire una fusione delle due versioni del ciclo bretone-arturiano risalenti al medioevo che sono pervenute in un modo o nell’altro ai giorni nostri, arricchita da elementi tratti dall’opera di Richard Wagner.
Tali frammenti sono attribuibili a Thomas "d'Angleterre" vissuto nel 1170 (ne restano tremila versi) ed al poeta normanno Béroul vissuto nel XII secolo (quattromilacinquecento versi). Il primo è intriso di una vena di sottile malinconia ed è rivolto ad un pubblico più acculturato, mentre il secondo si avvicina maggiormente alla tradizione della “chanson de geste” ed è improntato ad un maggiore realismo, probabilmente più vicino a quel pessimismo metafisico di Schopenauer dal quale Wagner trarrà grande ispirazione.
Ciò premesso, superfluo aggiungere che nell’opera di Kevin Reynolds del binomio Eros-Thanatos che praticamente costituisce il motivo predominante sia dell’opera lirica che della riscrittura non si riscontra la minima traccia nell’arco delle due (e passa) soporifere ore di visione di tale classico filmetto d’amore e d’avventura irrobustito da improbabili spolverature politiche e similari.
Basta quindi grattare un po’ in superficie per far emergere tutta la superficialità con la quale è stata affrontata una leggendaria storia medioevale puntualmente stravolta, ma meritevole al contrario di maggiore considerazione ed in cui i poetici temi basilari dell’opera originaria, l'amore, l'eroismo, la fedeltà, il tradimento restano irrimediabilmente a livello superficiale, scivolando con un certo autocompiacimento nella creazione di figure e figurine dichiaratamente stereotipe. In alcuni passaggi la pellicola rischia di cadere in un macchiettismo involontario a causa delle evidenti carenze attoriali dei due protagonisti, un accigliato James Franco la cui caratteristica più evidente è una marcata latitanza d’espressione ed una Sophia Myles leggiadra anzichenò, che a prima vista appare quasi come una clone di una Kate Winslet più giovane ma che si rivela abbastanza carente in quanto a talentuosità, penalizzata oltretutto da un doppiaggio che trova in un fastidioso accento simil-dialettale un evidente motivo di debolezza.
Che dire di più? Se trasposizioni del genere continuano a riscuotere un lusinghiero successo nonostante la loro infedeltà e noncuranza, ben vengano altre amenità del genere, magari con ulteriori bonus gratuiti del didietro di Sophia Myles senza veli (ma soltanto per una frazione di secondo, per la serie “mordi e fuggi”). E senza alcun ritocco al prezzo del biglietto.

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