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Amarcord

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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Viola96

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La recensione su Amarcord

di Viola96
10 stelle

“Che cos’è un ricordo, qualcosa che hai o qualcosa che hai perso per sempre?”

 

Un collage. Splendido, romagnolo, sentito. Vivace, colorato, pieno di vita. “Io mi ricordo”. Filo conduttore del film, anche se sarebbe più giusto definirla opera, è la memoria. Non quella sviscerata, dolorosa, che ci attraversa come un filo rosso. E’ la memoria piacevole, quella dilettevole, quella di un bambino che cresce a contatto col proprio paese d’origine, assimilandosi a questo, riprendendone usi, costumi, modi di fare. Diventando egli stesso il proprio paese. E’ una Rimini artificiosa, tutta costruita a Cinecittà, quella in cui si muove “Amarcord”, a mio avviso il miglior Fellini di sempre, meglio di “La dolce vita” e “Otto e mezzo”. Una Rimini onirica, inverosimile, una città aperta di cui il regista ci offre un ritratto estasiante. Ci si perde in ogni singolo fotogramma all’interno della città romagnola. Si osserva come la città sia illuminata, come abbia vita propria all’interno dell’opera: non è un qualcosa che fa da schermo alla scena, è la scena stessa.  Cosa raccontare all’interno della magia della città? Non una storia, questo è certo. Non è una storia che una città del genere può raccontare. Ma un mondo. Un piccolo mondo antico fogazzariano, un microcosmo in cui ci si può perfino riconoscere. La vita nell’antico borgo riminese è raggiante, gioiosa, anch’essa viva. Si parta dal falò organizzato per l’arrivo della primavera, la cosiddetta fugazara, si conclude con una musica per fisarmonica che sembra suonare all’infinito. In mezzo c’è tutto il mondo e anche oltre. Un’opera che comprende, forse, tutta l’epica felliniana: i personaggi, tanti, sono una ricostruzione straordinaria della mente mnemonica dell’autore, che riporta la sua infanzia, come più o meno la ricorda, all’interno della scena, ambendo alla ricostruzione parziale della sua memoria, rendendola visiva. Memoria per immagini. Click, il vecchio zio matto che urla il suo bisogno d’amore da sopra un albero (Ciccio Ingrassia, purtroppo doppiato). Click, l’apparizione sensuale e poetica della “Gradisca”. Click, le scene scolastiche dell’istruzione del borgo antico. Una serie di click non legati da un filo logico così come lo è la memoria: è difficile trovare una logica in una serie di eventi, magari lontani, che ci vengono in mente per caso, all’interno di un momento di nostalgia o di noia, o magari di felicità. La memoria viaggia da sola e così anche questo film: pervaso di una magistrale eleganza, l’opera prosegue per due ore a narrare senza narrare, ad essere senza esserci.  E’ un Fellini nostalgico, decisamente autobiografico, (come al solito, solo che in maniera molto più spinta) che costruisce intorno al tema del ricordo un’intensa poesia per immagini in cui ci sono tutte le pulsioni del regista, tutti i suoi desideri e le sue parole. Se “Otto e Mezzo” era lo specchio dell’anima di Fellini, “Amarcord” è lo specchio della sua testa. Fellini è abile nel raccontare la sua storia senza accennarne minimamente, o non facendolo capire. Tutto è affascinante, tutto è magico: le musiche di Nino Rota, i costumi in alcuni casi dei personaggi, il dialetto romagnolo e l’accento romagnolo, tutto serve a conferire una grande impronta di magia. Sembra di trovarsi all’interno della testa di una persona e di potersi muovere come meglio si crede. E’ un gioco mentale “Amarcord”, pieno di lirismo e poetica, eppure semplice, grazie alla sua alta comunicabilità. Con quest’opera Fellini realizza il suo testamento nonostante fosse ancora in vita sia artisticamente che fisicamente e la sua opera prima, nonostante questa sia  credo o il nono o il decimo film di Fellini. Importantissimo per la cultura italiana, è una pietra miliare per il nostro cinema, diventato un cult assoluto, anche la stessa espressione che dà il titolo all’opera è diventata di uso comune nel nostro paese per indicare con nostalgia qualcosa che si ricorda. Altro filo che lega l’opera è la nostalgia: malinconica, è un’opera che ha un sapore celebrativo e al tempo stesso rievocativo. Accattivante, la sceneggiatura di Tonino Guerra e dello stesso regista è una delle migliori della storia del cinema in generale. E dunque, come si chiedeva Woody Allen, “un ricordo è qualcosa che hai o qualcosa che hai perso per sempre?”. Ai posteri l’ardua sentenza. 

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