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Transamerica

Regia di Duncan Tucker vedi scheda film

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La recensione su Transamerica

di lussemburgo
8 stelle

Non dev'essere un caso se in Transamerica il nome del personaggio di Felicity Huffman, più nota come Lynette Scavo, sia Bree, come quello di una delle altre protagoniste di Desperate Housewives. Anzi, la Bree di Transamerica, in attesa del definitivo taglio chirurgico dalla vecchia identità maschile, sembra la versione transgender del personaggio di Wysteria Lane, e recita in punta di forchetta un'aspirante casalinga azzimata che eredita la comicità maschile di Lynette e l'esasperazione isterica di Bree. Transamerica non fa che acutizzare e rendere palese il sottotesto gay della serie di Marc Cherry, dove Bree se non un transessuale, è perlomeno un travestito disperato, la cui perfezionistica femminilità non viene sufficientemente riconosciuta. E simile a quello di Bree è anche il rapporto teso con il figlio, ostile e di aperta definizione sessuale.
Ma Transamerica abbonda di riferimenti filmici vari: questa versione light di Un anno con tredici lune unisce l'atmosfera (e alcuni temi) del segmento western di Belli e dannati (che già prima di Brokeback Mountain aveva associato west e gay), ed è costruito sulla falsariga di Priscilla con un simile viaggio transcontinentale (in America, come in Australia) alla ricerca di un figlio ignoto, con l'evidente difficoltà di assumere un ruolo ed un inedito affetto per un personaggio dall'identità incerta (un transessuale, un travestito) e inizialmente refrattario a ritrovarsi incarnazione del canonico ed istituzionale "papà". Inoltre, la dignità attempata di Graham Greene, cowboy indiano attratto da Bree rimanda alla certezza romantica del cowboy australiano che si innamora sinceramente dell''improbabile donna incarnata da Terence Stamp. L'atmosfera camp straripante di Priscilla si stempera però qui in una colonna sonora non prettamente identificabile, se si eccettua il blues bianco finale di Dolly Parton, cantante che è l'esasperazione iconografica di attributi femminili in versione country.
Transamerica è anche un roadmovie, un altro genere cinematografico, come il western, tipicamente maschile (Thelma & Louise non era che la traduzione femminista in un certo machismo), che qui oscilla tra Stephan Elliot e Wim Wenders, tralasciando però la ricognizione territoriale per un viaggio genericamente esistenziale che attraversa la definizione di famiglia. Varie sono le tipologie familiari che si incontrano del film: il doppio ruolo parentale di Bree (madre o padre?), che si complica con quello di amante o amica potenziale; la famiglia adottiva del figlio, luogo di abusi e ignominia da parte del patrigno; la famiglia di "Stanley", l'identità originale di Bree, tradizionalmente disfunzionale e pacchianamente texana che, tra contraddizioni e ruoli sbilanciati (madre opprimente, padre silente e debole), ha portato anche ad una sorella alcolizzata. Per giungere, in un film non conciliatorio ma sommessamente ottimistico, alla scelta di una famiglia anomala, dai ruoli indefiniti e variabili, ma spontaneamente salda. Le potenzialità drammatiche del soggetto sono trattate con la leggerezza di una vaga atmosfera da sitcom, una dramatic comedy meglio scritta che girata (stilisticamente è piatta e non aiutata da una fotografia sciatta) che, nel suo drastico rifiuto del "politically correct", palesa una vistosa messa in berlina del puritanesimo americano contemporaneo, con tanto di riferimento ai Cristiani Rinati di Bush (e ad una fantomatica ed irriverente Chiesa del Padre Potenziale).

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