Espandi menu
cerca
Blood Feast

Regia di Herschell Gordon Lewis vedi scheda film

Recensioni

L'autore

FABIO1971

FABIO1971

Iscritto dal 15 luglio 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 119
  • Post 11
  • Recensioni 526
  • Playlist 3
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Blood Feast

di FABIO1971
6 stelle

"Mi ero reso conto che stavamo realizzando un genere di film che nessuno aveva mai prodotto prima. Il problema era se esisteva qualche sala che li avrebbe proiettati".
[Herschell Gordon Lewis]

"Nei film splatter, la mutilazione è il messaggio. Spesso e volentieri, l'unico".
[da John McCarthy - Splatter Movies: Breaking the Last Taboo of the Screen - St. Martin's Press, 1984]
 

Pete Thornton (William Kerwin, accreditato con lo pseudonimo di Thomas Wood) e il suo capo Frank (Scott H. Hall), detective della polizia di Miami, sono alle prese con un'ondata di brutali omicidi: nell'arco di due sole settimane, infatti, sono state barbaramente massacrate sette giovani donne. Le autorità non hanno il minimo dubbio nel sospettare che l'autore sia un selvaggio maniaco, perchè i corpi mutilati e gli organi espiantati lasciano presupporre uno schema comportamentale alla base degli atti criminali. L'assassino è Fuad Ramses (Mal Arnold), gestore di un negozio di cibi esotici: nel retro del suo locale, infatti, si nascondono le segrete stanze che Ramses ha adibito al culto sanguinario di un'antica divinità egizia, la dea Ishtar, "madre della velata oscurità", a cui il devoto servitore sacrifica le giovani vittime allestendo in suo onore il raccapricciante banchetto di carne umana che, secondo le sacre formule, la riporterà in vita. Suzette (Connie Mason, ex coniglietta di Playboy e futura moglie proprio di William Kerwin), fidanzata con il detective Pete, è stata già individuata da Ramses come una delle vittime prescelte per il rito, ma sarà proprio lei a mettere la polizia sulla pista giusta. Sua madre, infatti, le ha organizzato una festa a sorpresa, rivolgendosi proprio a Ramses per il catering: dopo aver cucinato meticolosamente i cibi per l’abominevole banchetto di sangue in onore di Ishtar servendosi degli organi vitali asportati dai corpi delle ragazze, l'assassino raggiunge l'abitazione di Suzette per il sacrificio finale. I detective della Squadra Omicidi, però, sono ormai sulle sue tracce e a Ramses non resta che fuggire incontro al proprio destino.

Con Blood Feast, opera seminale nella storia del cinema horror, nasce il genere gore (o splatter, come lo battezzerà all'inizio degli anni Ottanta il critico John McCarthy), che gli effetti speciali condurranno nel tempo a un ben più raccapricciante realismo. Qui, pur limitandosi all'esibizione di ettolitri di ketchup, vernice e frattaglie di macelleria, l'effetto è già terribilmente disturbante, nonostante l'evidente povertà di mezzi a disposizione: produzione spartana, vero e proprio "one man show" del regista, che si dedica anche alla coloratissima fotografia e alla composizione dell'ossessiva colonna sonora, attori sconosciuti (con alcune bellezze dell'epoca prelevate di peso dai paginoni centrali di Playboy), recitazione approssimativa, scrittura tutt'altro che raffinata. Tutto concorre, infatti, a inscrivere il film in quel varopinto ed esaltante universo del cinema di serie B più trash e non allineato che tra la metà degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta, ispirato da precursori come Roger Corman e William Castle, lancerà alla ribalta (e non) nomi del calibro di Russ Meyer, Edward Wood o, appunto, Herschell Gordon Lewis, la mente bacata dietro questo Blood Feast, sua settima regia dopo un inizio di carriera segnato dal sodalizio con il produttore David F. Friedman, specializzato nei cosiddetti nudie cuties, ovvero pornografia (blanda) in salsa sexploitation che realizzava in serie nei campi per nudisti della Florida. Lewis, classe 1929, laureato in giornalismo ed ex professore di letteratura inglese, poi manager di un'emittente radiofonica e direttore di studio per la televisione, iniziò a dedicarsi al cinema dopo aver diretto alcuni spot pubblicitari: la passione per le tecniche commerciali di marketing, che svilupperà in una parallela carriera di consulente pubblicitario e di immagine (con oltre una ventina di libri pubblicati sull'argomento), lo trasformerà in una vera e propria autorità in materia, oltre a consentirgli di finanziare, con gli introiti, le proprie attività cinematografiche. Poi l'incontro con Friedman, le prime esperienze dietro la macchina da presa e, di fronte alle sempre più crescenti dosi di nudi esibite nelle produzioni mainstream hollywoodiane, l'esigenza di indirizzare i soggetti dei propri film verso nuovi lidi, per evitare la saturazione del mercato e riuscire a districarsi tra le rigide maglie della censura, che vigilava su sesso e volgarità ma non sulla violenza (e men che mai sulle sue esasperazioni più brutali e selvagge): per Lewis, cineasta dalle lungimiranti intuizioni più che regista dall’indiscusso talento, arrivò l’illuminazione.

Girato a Miami in nove giorni e con neanche 25000 dollari di budget, “scritto” da Allison Louise Downe, nome d’arte “Bunny”, all’epoca moglie del regista, per il quale collaborerà con i più disparati incarichi (da attrice ad aiuto regista, da costumista a truccatrice, oltre che sceneggiatrice e consulente per gli effetti speciali), Blood Feast si rivelò, nonostante la levata di scudi della critica dell'epoca, un trionfo commerciale: uscito a luglio del 1963 sia nei drive in che nelle sale cinematografiche, il film mantenne le promesse di Lewis e Friedman, che distribuirono la loro delirante creatura puntando sulla novità dell'opera e lanciandola commercialmente con ingegnose trovate pubblicitarie (le ambulanze parcheggiate fuori dalle sale, i sacchetti per il vomito distribuiti agli spettatori con stampato "Potreste averne bisogno mentre vedete Blood Feast"), lampante dimostrazione della più dissacrante autoironia con cui i due "kings of trash-film" (dal sottotitolo dell'autobiografia di Friedman) consideravano e vivevano il proprio lavoro (esemplificata, tra l'altro, nella sequenza finale del film, con il protagonista che finisce stritolato in un camion per l'immondizia).

Al di là della rilevanza storica dell'opera, Blood Feast resta in ogni caso uno spettacolo modesto, disturbante ma anche assolutamente approssimativo sia per le incongruenze (e le vere e proprie idiozie) della sceneggiatura che per le scelte stilistiche adottate: sebbene per la prima volta nulla venga lasciato all'immaginazione dello spettatore, Lewis dimostra, infatti, ancora scarso interesse per la caratterizzazione dei personaggi (in Blood Feast si incontra, probabilmente, la coppia di detective più imbecilli della storia del cinema) e per la coerenza e gli sviluppi della trama (di memorabile assurdità il modo con cui la polizia scopre l'identità del maniaco, grazie all'assonanza, inizialmente incompresa - ma si può? - tra "Ishtar" e "Eeetar"), impostando il film sulla semplice attesa delle mattanze senza preoccuparsi di colorare di pathos e disperazione il crescendo di disgusto e follia della vicenda. Il risultato lascia stupefatti per le scorie deliranti che semina lungo il suo sanguinoso percorso, ma allo stesso tempo interdetti per la pochezza e la banalità dell'insieme: forse, alla fine, il fascino malsano e primitivo di Blood Feast risiede proprio in questa sua evidente incompiutezza, nella sfacciataggine con cui pretende di non farsi mai prendere sul serio, nel gusto per l'eccesso (dal sangue, con tonalità e consistenza sempre "troppo" rossa e densa, alla lunghissima lingua, strappata, nella sequenza più celebre del film, dalla bocca di una delle vittime) condotto fino all'estremo in nome della più completa e liberatoria mutilazione del corpo umano.
Primo capitolo, il più debole, di una trilogia gore composta dal gioiellino Two Thousand Maniacs! (1964) e dall'altrettanto riuscito Color Me Blood Red (1965), venne omaggiato nel 1986 da un "sequel spirituale" (Il ristorante all'angolo, diretto da Jackie Kong) e seguito da Blood Feast 2: All U Can Eat, distribuito direttamente per il mercato home video, che sancì nel 2002 il ritorno alla regia di Lewis dopo una pausa di trent'anni.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati