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Certi bambini

Regia di Andrea Frazzi, Antonio Frazzi vedi scheda film

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La recensione su Certi bambini

di giancarlo visitilli
8 stelle

I “minori a rischio”, i “dropout”, gli “svantaggiati” e gli “inadempienti”. Questi sono solo alcuni dei nomi comuni che, giornalmente, operatori sociali, insegnanti, giudici e tutti noi come società diamo a certi bambini. Così hanno pensato bene i fratelli e registi Frazzi di portare sul grande schermo appunto Certi bambini. Abbiamo visto molti film sulla criminalità giovanile, ma non ce n’è mai troppi, visto il crescente fenomeno delle baby-gang. Di “certi bambini” hanno già raccontato Pasolini, ma prima ancora Rossellini, poi ancora Capuano con il suo bellissimo Vito e gli altri, di cui certamente i fratelli Frazzi hanno tenuto conto, soprattutto per l’aspetto meschino di una vita priva di speranza e di riscatto.
Tratto dall’omonimo romanzo di Diego De Silva, edito da Einaudi, Certi bambini è la storia di un undicenne, Rosario, che vive in un condominio alla periferia di Napoli (anche se la città non è mai nominata), pericolosa, losca, alla deriva: qualità insite nella vita di ogni adolescente costretto a (soprav)vivere da solo e in gruppo in una situazione di illegalità e degrado assoluto, fra sale giochi, piccoli e lerci fast-food, roulette russe, ma soprattutto in strada. Questa è l’emblema della vita di Rosario e di chi come lui convive con un male (peggiore di ogni tumore), di cui la nostra società sembra sempre più ignorarne l’esistenza e la gravità. Basti dare un breve sguardo all’ultima statistica a proposito della criminalità e devianza minorile in Italia dallo scorso anno ad oggi. Qualcuno si ostina ad affermare che si tratta solo di “certi bambini”, per i quali l’unica soluzione attualmente in auge nel nostro Paese è la reclusione nel carcere minorile: l’industria che genera i criminali veri, quelli che, parafrasando le parole di Michel Foucault “servono alle nostre società”.
Gli unici ‘maestri’ di Rosario, che personifica non solo una parte di bambini, ma ormai una fetta importante e sempre più numerosa nelle nostre città, sono Santino, un volontario del centro di riabilitazione per ragazze madri e Damiano, un delinquente incallito che insegna “il mestiere del ladro” al piccolo undicenne. A Rosario basterà il viaggio in metropolitana per ripercorrere, attraverso i flashback, tutti i momenti più salienti del suo recente passato: le persone, i luoghi, l’emozioni e le paure. Così lo spettatore si ritrova a ripercorrere in parte la sua stessa vita, attraverso l’interpretazione degli eventi filtrati dalla memoria di un adolescente. A differenza del film di Capuano, i fratelli Frazzi non hanno interesse alcuno per l’aspetto antropologico; ciò che emerge è l’impossibilità, denunciata dallo sguardo e dalle scelte di vita di Rosario, di poter vedere spiragli di luce. Di contro, quasi accanto all’adolescente, una società mostruosa e incapace di ‘accudire’ certi bambini. Si tratta della società di “certi adulti”, ciechi, disinteressati, padri e madri (nel senso proprio del “generare”) certi figli, bambini.
Bravissimo il giovane Gianluca Di Gennaro, nei panni di Rosario, che non sembra neanche recitare, anche perché è cresciuto (a differenza di certi altri bambini) in una famiglia d'arte. Immancabile, ovviamente, è la colonna sonora firmata Almamegretta.
Nella parte finale del film, l’inquadratura dal basso di una fossa scavata per custodire la bara, diventa l’assioma, lo stesso sguardo con cui i tanti Rosario vedono il mondo. Il loro punto di vista, non ha punti di fuga o di luce, vola basso ed è destinato a restare tale. Almeno fino a quando continueremo a considerare possibile un aggettivo indefinito dinanzi alla realtà grandiosa dei bambini.
Giancarlo Visitilli

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