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L'amore ritorna

Regia di Sergio Rubini vedi scheda film

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La recensione su L'amore ritorna

di giancarlo visitilli
4 stelle

La sequenza iniziale è abbastanza promettente. Una pietà al maschile, fra le giaculatorie paesane. Un’inversione d’immagine: chi compiange è un uomo, chi è compianta è Rosina, l’emblema del magico o di un pensiero che, forse è amore, ma ritorna.
Al suo settimo film, l’attore e regista originario di Grumo Appula, Sergio Rubini, osa avventurarsi in una storia sulla malattia e sulla guarigione-maturazione, in particolar modo sulle debolezze e sulle paure, ma anche sulla consapevolezza che poi alla fine la vita ricompensa. Così come avviene per Luca Florio, un attore di quarant’anni, che nel pieno della sua carriera e con un ruolo da protagonista in un importante film di fantascienza, scopre che tra lui, sua moglie che lo ha lasciato, la sua nuova compagna, i suoi amici, ma soprattutto con il cinema vive una strana complicità. Sofferente, malata, languida. L’unico faro in cotanto buio è un amico che vuole veramente bene a Luca, il quale, ben presto verrà a conoscenza di un malore, per il quale necessita il ricovero. Dal letto d’ospedale, Luca attore e prossimo regista avrà modo di dirigere e leggere il più importante copione mai letto: la sua stessa vita, mentre tutti i suoi stessi amici gli si stringono attorno. La sofferenza, quindi, diventa una condizione privilegiata per Luca, per osservare gli ‘attori’ del suo film-vita. Un’altra inversione d’immagine: Luca che da attore diventa spettatore, fa “una riscoperta di sé attraverso la riscoperta degli altri”, come ha sostenuto lo stesso regista alla presentazione del film.
Già col suo lavoro precedente, L’anima gemella, Rubini s’era avventurato nei sotterranei della magia e delle credenze popolari pugliesi. L’insistenza su tale tematica, presente anche in questo film e legata alla figura di una donna vissuta mezzo secolo prima rispetto agli avvenimenti raccontati nel film, rispolvera un ritorno alle origini, che in Rubini ha sempre più una certa ambiguità. Cos’è “quel cazzo di filo” (di cui si parla nel film) che si vorrebbe evidentemente spezzare, se non l’appartenenza ancora ad una terra abitata da “suocere, cognate, cugini, padri e madri…”?.
Se l’amore ritorna, o se piuttosto ritorna sotto forma di altro, non è dato capirlo in maniera reale, visto che quando si tratta di malattia, l’amore serve ad esasperare un certo nichilismo, una corsia preferenziale per chi s’accinge a lasciare questo mondo, nonostante Rubini sia convinto che “la malattia non è interruzione della vita, ma fa parte dell’esistenza”. Ma il suo film, anche se per quasi due ore ci piazza dinanzi la sofferenza di un uomo e di chi gli vuole bene, non emoziona, tanto meno quando si utilizza addirittura un testo così ‘strappalacrime’ come “Cercami” di Renato Zero.
A distanza di pochi giorni dall’uscita di un film, di un altro Sergio (Castelletto), straordinario attore come Rubini, è evidente e sincera la dimostrazione di come ad entrambi i Sergio non manchi il talento da attore (primo fra tutti, quello di Rubini, lo ha riconosciuto il suo grande maestro Federico Fellini), ma nonostante la sua settima regia non riesce a trovare ancora una sua identità precisa come regista. L’amore ritorna, sa molto di già visto (Bob Fosse fra tutti); è un film troppo personale, lo dimostra la scelta del cast: l’amico del cuore, Fabrizio Bentivoglio, l’ex moglie Margherita Buy, Giovanna Mezzogiorno (già ne Il viaggio della sposa). Una sorta di famiglia allargata, vista anche la presenza del padre Mario Rubini, suo vero padre, tra l’altro pittore e poeta nel film e nella vita.
La sceneggiatura, scritta dal regista a quattro mani con Domenico Starnone e con la collaborazione di Carla Cavalluzzi non è proprio delle migliori, soprattutto nella caratterizzazione di un forte legame tra la realtà e la finzione, che molte volte confonde e addirittura appesantisce il ritmo, rendendo la storia abbastanza piatta e molte volte anche noiosa (ci si aspetta, almeno dopo i primi tre quarti d’ora, che Luca la faccia finita, invece…), oltre che poco interessante, soprattutto per il binomio che sempre emerge. Se si fanno un po’ di conti: Rubini è prima Bentivoglio e poi questi che fa Rubini; Margherita Buy l’ex moglie di Rubini, nel film è l’ex di Bentivoglio, tra l’altro figlio del padre (vero) di Rubini. Ma tutto ciò cosa c’entra con il cinema?
Cos’è quest’abitudine di raccontarsi sul grande schermo (stessa soluzione del Muccino junior nel film di Veronesi)? Non ne abbiamo già troppi di ‘salotti e conduttori imbiancati’ di casa Mediaset e sull’esempio Marzullo, che ci propinano la vita ‘standard’ di uomini dello spettacolo? E allora perché andare ancora al cinema? Chi ci sveglierà da questo ‘torpore cinefilo’, a causa dell’assenza di storie originali, capaci anche di raccontarci piuttosto la verità: che se l’amore non ritorna, non è sempre un male. Forse sarebbe più originale.
Giancarlo Visitilli

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