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E.T. L'extraterrestre

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su E.T. L'extraterrestre

di tinodeluca
10 stelle

1982. Steven Spielberg vara l’ennesima pellicola per fare salpare i suoi spettatori alla volta di una meta fantastica: partenza dal mondo reale e destinazione verso l’isola che non c’è, ma che tutti vorrebbero che ci fosse.
Esce, infatti, E.T. l’extra-terrestre, produzione da dieci milioni di dollari che ne incasserà oltre settecento: film fortemente voluto dallo stesso Spielberg che, da anni, era tentato dall’idea di raccontare una storia autobiografica, prendendo spunto dalle proprie vicende familiari.

Mentre alcuni piccoli e strani alieni prelevano campioni di vegetazione nei pressi di una tranquilla cittadina californiana, giungono alcuni uomini con auto e torce. Gli alieni sono costretti a fuggire rapidamente ma, nella concitazione, partono prima che l’ultimo di loro faccia in tempo a salire sulla navicella spaziale. Il piccolo extraterrestre, abbandonato dai compagni di viaggio sul nostro pianeta, lega e solidarizza con un bambino di nove anni, di nome Elliott (Henry Thomas), il quale tende – con le sue fantasie – a colmare lo spazio vuoto lasciato dal padre che ha abbandonato moglie e figli.

Spielberg (qui incarnato dal piccolo Elliott) segue un’idea fantastica, alla quale non aveva potuto dare forma per effetto della partenza dell’astronave di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Cioè, far scendere gli extraterrestri sul nostro pianeta, farli vivere – almeno per un po’ – con i terrestri, rappresentando un contatto fisico e reale che nel precedente film, invece, era stato solamente di tipo sensoriale, seppure molto ravvicinato.

La storia, raccontata con il tocco delicato e sognante che caratterizzava il regista – bambino di quei tempi, è incentrata sul viaggio alla scoperta del meraviglioso mondo dell’altro che, giorno dopo giorno, i due nuovi amici affrontano con l’entusiasmo che contraddistingue i puri di cuore. I primi contatti, esattamente come nelle amicizie tra esseri umani, sono prettamente visivi: l’emulazione dei gesti, la comunicazione fatta da sguardi e attraverso il movimento delle mani. In seguito, inizia un dialogo che passa attraverso la condivisione e la classificazione delle cose importanti per ciascuno di essi: il proprio nome innanzitutto, Elliott. Poi la coca cola, i giocattoli, i pupazzi, gli eroi, il cibo, sino a giungere alle differenze fisiche: «Io sono un metro e trenta. Tu sei… quanto sei alto?». Infine, le coordinate di provenienza: «Noi siamo qui. Tu da dove vieni? Questa è la Terra. Casa».

Il gioco della scoperta dell’altro continua sino al punto che, tra i due, si instaura una simbiosi caratterizzata dalla condivisione di emozioni, salute, benessere e malessere, anche a distanza. Finché, grazie all’intraprendenza della piccola sorella di Elliott, Gertie (Drew Barrymore), E.T. apprende la lingua dei suoi piccoli amici, abbattendo così l’ultima barriera dell’incomunicabilità tra esseri provenienti da luoghi diversi. Da quel momento E.T. è in condizione di manifestare desideri, aspettative, descrivere emozioni e stati d’animo. Esattamente al cinquantaseiesimo minuto (circa la metà del film, non a caso il middle point della sceneggiatura), E.T. con tre semplici parole comunica al suo piccolo amico il motivo del suo malessere: la malinconia per la lontananza da casa. «E.T. telefono casa».

La seconda parte del film è incentrata sugli sforzi compiuti da Elliott e altri piccoli amici terrestri, nel tentativo di fare tornare E.T. a casa, favorendone il contatto con il suo popolo, sottraendolo alla morbosa curiosità di una squadra di uomini del governo e consentendogli di raggiungere l’astronave tornata per riprenderlo.

A distanza di quasi trent’anni, E.T. resta uno dei film più riusciti di Spielberg, anche per conferma dello stesso regista, il quale ha sempre negato di volere fare un sequel, per evitare di rompere l’incanto lasciato dalla pellicola nell’immaginario collettivo delle generazioni che l’hanno amata.
Il film, seppure in chiave fantastica, affronta il tema dell’amicizia e della tolleranza tra culture diverse, percorrendo in modo originale la questione della comprensione del diverso e dello straniero. Nonostante la critica abbia, in modo semplicistico, legato il film al carattere fanciullesco e sognatore del regista, esaltandone esclusivamente l’aspetto ludico, lo scopo sotteso che ha realmente animato Spielberg è quello di esplorare il tema della tolleranza, attraverso la comprensione e l’accettazione dell’altro.

Peter Coyote, uno degli attori del film, ha affermato che: «una delle cose per le quali la gente ha amato questo film è stata l’idea che, se E.T. e questi esseri umani potevano capirsi, non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto impedire a due persone o a due nazioni sulla Terra di farlo». Era il 1982.

«Ti sarò sempre vicino», diceva E.T. al suo amico Elliott, prima di lasciarlo. Ebbene, ne è passata tanta di acqua sotto i ponti; sono franate montagne, regole, dottrine; sono crollati muri, giganti dai piedi d’argilla, valori, partiti dalle doppie morali; si sono costruiti ideali, nuovi confini, illusioni; si sono abbattute barriere, tensioni e vecchie dogane; si combattono nuove guerre per vecchie ideologie  e si costruiranno ancora nuovi ponti, si unificheranno partiti, liste, coalizioni e potranno anche venire seconde e terze Repubbliche, ma nessun progresso è stato ancora fatto dagli scienziati terrestri, per l’accoglienza dei piccoli stranieri arrivati da paesi lontani. Forse, per Elliott, sarebbe stato meglio salire sull’astronave con il suo nuovo amico E.T.

Mister Spielberg, quando ha realizzato E.T., pensava ad un pubblico di bambini?

«E’ scontato dire che E.T. è un film per il bambino che è dentro ognuno di noi. No, questo film è per quello che siamo, per ciò che siamo stati e vogliamo essere di nuovo. Credo che sia per tutti».

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