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The Brown Bunny

Regia di Vincent Gallo vedi scheda film

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Barone Cefalu

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La recensione su The Brown Bunny

di Barone Cefalu
9 stelle

É sorprendente come, dopo circa trent’anni, Vincent Gallo resti ancora legato all’estetica di quel cinema e, soprattutto, in modo così autentico e naturale.

C'è sicuramente un ponte che unisce Vincent Gallo al cinema indipendente americano, in particolare quello a cavallo tra gli anni '60 e l'inizio dei '70, periodo di rottura e di passaggio da un cinema più classico verso un cinema che rappresentasse anche la trasformazione radicale della società americana, che esprimesse i nuovi ideali e soprattutto lo spaesamento dovuto al tradimento di un sogno di benessere che ormai si andava consumando.

É sorprendente come, dopo circa trent’anni, Vincent Gallo resti ancora legato all’estetica di quel cinema e, soprattutto, in modo così autentico e naturale.

Una naturalezza che fa da contraltare ad un altro cinema che inizialmente nasce come indipendente, ma che presto si piegherà e diventerà anch’esso mainstream, come quello, per fare un esempio, di Quentin Tarantino.

Tarantino pur essendo anche lui cultore di quel cinema, lo omaggia in modo più costruito, più tecnico, più cinematografico, e lo fa abbracciando totalmente il cinema di genere, rievocandolo con forte caratterizzazione. Al contrario Gallo assorbe un certo linguaggio in modo più naturale, come discorso mai interrotto, e ne fa quasi rifugio, in un certo modo legato ai personaggi che interpreta. 

Quindi si assiste ad una specie di cinema quasi documentaristico ed improvvisato, probabilmente con forti cenni autobiografici, qualcosa che ricorda in parte Cassavetes, o i road movies del primo Wenders, o Jarmush, ma ancora più grezzo, meno curato e con derive in parte amatoriali.

A differenza del suo primo film da regista “Buffalo ’66”, questa volta il quadro si fa più intimo, si arricchisce di particolari, di gestualità, di primissimi piani, o la cinepresa segue in spalla al protagonista  per renderci partecipi nella condivisione di un vuoto, di un’assenza.

 

Bud è un motociclista che con la sua Honda gialla partecipa a diverse gare, spostandosi con il suo van da uno Stato all’altro degli USA. Ma il suo viaggiare è anche fuga, la ricerca di un fantasma.

Bud è alla ricerca di Daisy. Un tempo, diversi anni prima, vivevano assieme.

Bud è un uomo ingabbiato nel suo dolore, proprio come il coniglietto marrone che una volta apparteneva a Daisy. 

Vincent Gallo riesce con semplicità a descrivere, senza bisogno di parole, spazi vuoti, strade di provincia, periferie, deserti bianchi come le bellissime pianure di sale vicino a Salt Lake City. Nel corso di questa ricerca incontrerà persone a loro volta sole, che non riusciranno a dargli la pace che va cercando.

 

Film coraggioso (anche per una scena pornografica davvero esplicita che ha fatto molto scalpore), e che tra le altre cose evidenzia, come in Buffalo ’66, una forte componente narcisistica e fragile del protagonista, ma che questa volta risulta in parte più matura. Splendide le musiche, come Tears for Dolphy di Ted Curson, già utilizzata da Pasolini in "Teorema".

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