La recensione su La 25ª ora

di champagne1

7 stelle

La sua ultima notte di libertà prima di dover scontare 7 anni di carcere duro, Monty la vuole trascorrere in compagnia dei suoi amici e della sua fidanzata. Ma è una notte di travaglio, in cui Monty ha ancora domande in sospeso (chi lo ha tradito? forse proprio una delle persone a lui più vicine) e si chiede cosa non ha funzionato nella sua vita per averlo portato fin lì...

C'è una scena chiave nel film ed è quello del monologo allo specchio in bagno, in cui Monty - nel tentativo di trovare un responsabile delle sue disgrazie - passa in rassegna persone e tutte le etnie che vivono a New York e le insulta pesantemente (un po' in analogia con quanto succede in Fa' la cosa giusta dello stesso Spike Lee), prima di comprendere che il vero responsabile è proprio lui stesso.

E' proprio questo il senso del film: l'idea di una colpa che va prima riconosciuta e poi espiata, non importa a quale prezzo. E in analogia con l'enorme voragine di Ground Zero (è il primo film che mostra il vuoto dove prima c'erano le Twin Towers), sembra che Spike Lee si chieda di cosa deve pentirsi New York per quello che le è appena successo.

E da un Regista che da sempre si pone a sottolineare il conflitto razziale arriva alla fine un messaggio di dolore e di colpa tanto infantile quanto profonda attraverso l'ottima interpretazione di Edward Norton, un antieroe al limite fra spavalderia e innocenza.

Ma tutti i co-protagonisti, compreso una "piccola" parte per Philip Seymour-Hoffman insegnante timido e complessato, si ritagliano una parte che li scolpisce a pieno. Così come Brian Cox, padre di Monty, che ci guida con le sue parole alla crudele illusione finale di ciò che avrebbe potuto succedere e che invece non succederà mai.