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Dieci

Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film

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La recensione su Dieci

di Aquilant
8 stelle

“Perché la donna non dev’essere mai sé stessa?” si domanda Mania alle prese col caotico traffico di Teheran, offrendosi con misurato autocompiacimento all’occhio della macchina da presa in tutta la sua smagliante bellezza. Il registra la coglie nella sua poco invidiabile condizione di donna legata ad una terra che non le concede di allentare le sue catene neppure di quel minimo sufficiente a non farsi calpestare nei suoi diritti da un insolente ragazzino, suo figlio, depositario di un’esulcerata l’arroganza tramandatagli per via ancestrale ed accademico rappresentante di una generazione avvezza a considerare le donne come esseri inferiori, ostile nei confronti di rischiose aperture femministe che lo feriscono, inducendolo a rintanarsi nella sua armatura di potenziale futuro maschio prevaricatore. L’automobile è intesa come mezzo di analisi e di introspezione interiore, disponibile ad accogliere gli occupanti nel suo scomodo ma simpatetico guscio protettivo. Un microcosmo racchiuso in un’angusta dimensione spaziale, estrapolato da un mondo esterno immalinconito che si cela allo sguardo dello spettatore lasciando intravedere al di là del finestrino soltanto sporadici lampi di biancore alternati a tenebra profonda. Un angusto abitacolo destinato a proteggere i più intimi discorsi dei personaggi in quel suo emanare un compulsivo senso di pudore rappreso che si fa strada tra intime confidenze di vita matrimoniale. E’ questa la descrizione di un claustrofobico microcosmo in DIECI scene, cinque personaggi ed una serie di destabilizzanti primi piani opportunamente translitterati dalla nettezza dello sguardo del regista. Totalmente privo di azione scenica ma ricco di dialoghi liberatori, di scontri generazionali, di venti di autodeterminazione, di rigetti di ogni tipo di oscurantismo, di ripiegamenti interiori su sessualità nascoste in un abitacolo assunto a ruolo di lettino di psicanalista con piena facoltà di parola. La figura di Mania Akbari, vibrante di luce e di amore, è dotata di una determinazione insolita per una donna abituata a vivere in un ambiente familiare fortemente restrittivo dei suoi diritti e di quegli aneliti di libertà che non conoscono barriere. Film coraggioso ed innovativo, lontano anni luce dai classici canoni cinematografici, condotto con un tono provocatorio e con uno stile dichiaratamente minimalista, in una totale messa al bando di ogni sorta di qualsiasi espediente narrativo basato sulla dinamicità del movimento. A tutt’oggi l’opera più radicale di un regista che si fa carico di una visione di vita rivolta all’affrancamento dell’individuo da ogni tipo di pastoie, con la macchina da presa fissa intenta ad indagare sui silenzi, adattata ad un ruolo che oltrepassa lo stadio di finzione per approdare a quella sorta di cinema verità che è alla base del suo pensiero, in un’ ottica fenomenologica in grado di restituirci una realtà dissossata da pastoie narrative e da schemi precostituiti, protesa in un itinerario metalinguistico in grado di dischiudere nuovi possibili spiragli ad inimmaginabili soluzioni creative.

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