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La ville est tranquille

Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film

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La recensione su La ville est tranquille

di laulilla
7 stelle

Un bel film che rappresenta, nelle piccole storie individuali di alcuni abitanti di Marsiglia, le tragedie del nostro tempo, frutto velenoso del diffondersi dei dogmi liberistici e dell’assenza di strategie alternative nelle proposte delle organizzazioni della sinistra politica e sindacale.

 

Siamo a Marsiglia, la metropoli portuale del sud della Francia; le vicende dei suoi abitanti vengono intrecciate dal regista con abilità narrativa e con forte empatia – ma senza patetismi – in un film durissimo, che sembra quasi raccontato da Ken Loach. 

 

La città è tranquilla, ci dice giustamente il titolo.  Il nero Abderamane (Alexandre Ogou), però, che aveva conosciuto la reclusone per piccoli furti, fa notare alla donna amata che, in quella prigione, gli aveva insegnato il gusto per la musica, che vista da alcuni punti alti dei quartieri per bene della città, Marsiglia non solo è tranquillissima e pacifica, ma è bellissima. 

 

Bisogna assumere altri punti di vista per capire che cosa non va, quali sono i tormenti e le contraddizioni in cui si dibattono tanti cittadini, come Paul (Jean-Pierre Darroussin), il crumiro, per esempio, che ha abbandonato i suoi compagni di lotta e ha acquistato un taxi, caricandosi di debiti che non è in grado di affrontare, o come Michèle (stupenda Ariane Ascaride), la venditrice di pesce che invano aveva cercato di combattere l’assuefazione alla droga della figlia; o come  i genitori di Paul, ancor giovani, ma vecchi e distrutti dall'angoscia, avendo dovuto anticipare il proprio pensionamento, per la crisi del porto, o come Gerard (Gérard Meylan), suicida per disperazione.


Il film dunque ci fa entrare nel mondo degli sconfitti che non hanno retto; le loro storie si incrociano e si rassomigliano, benché non sempre i singoli ne abbiano coscienza, visto che alcuni si rifugiano nell’idea autoconsolatoria di appartenere, in ogni caso, al mondo privilegiato dei bianchi, dei francofoni, di chi non intende mischiarsi ai diseredati dell’emigrazione, allontanandosi da ogni forma di solidarietà,  imprescindibile per risolvere i loro difficili problemi.

 

Il regista rappresenta e racconta con viva partecipazione le illusioni, le sciagure, le tragedie individuali, senza fare diventare un mélo lacrimoso questo suo film durissimo, talvolta un po’ didascalico, che contiene una serrata  critica del liberismo degli anni 80 e del pensiero egemone dell’ottimismo edonistico, che sembrava unire acriticamente prosperità economica e felicità degli uomini, ma che aveva disgregato quel tessuto solidaristico che in Europa si era affermato dal dopoguerra e che aveva conosciuto il massimo della sua espansione nel corso degli anni ’70.

 

 

 

 

L’incapacità di elaborare prontamente risposte alternative fu all’origine della crisi progressiva delle organizzazioni sindacali e dei partiti della sinistra in tutta l’Europa, nonché della solitudine dei più deboli, che dovettero affrontare da soli i problemi enormi e complessi della disoccupazione di massa – conseguenza della concorrenza internazionale – e delle difficoltà create dallo spostamento di migliaia di persone da altri continenti, mentre la diffusione della droga fra i giovani diventava la spia del malessere delle nuove generazioni.

 

Il film, uscito nel 2000, ha avuto scarsa distribuzione nel nostro paese e sarebbe stato quasi ignorato se non ne fosse stato messo in vendita, anni fa, il DVD insieme a un quotidiano.

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