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Un detective. Macchie di belletto

Regia di Romolo Guerrieri vedi scheda film

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La recensione su Un detective. Macchie di belletto

di giurista81
6 stelle

Noir minore dotato, tuttavia, di importante cast artistico. Franco Nero, già lanciato nel cinema per merito di western di assoluto successo quali Django e Il Mercenario, ma anche già impegnato in ruoli che gli avrebbero poi permesso di passare al nascente "poliziottesco" (su tutti quello del capitano Bellodi ne Il Giorno della Civetta), interpreta un commissario della polizia alquanto insolito. Schivo, solitario, lavora in modo scollegato rispetto all'attività dei suoi colleghi e, soprattutto, cerca di lucrare su quanto scopre, estorcendo denaro ai sospetti. Manesco, violento e brutale, ricorre alla forza per ottenere confessioni. Prima mena, compie prepotenze, induce il fermato a crollare a terra a corto di fiato; solo dopo aver fatto questo mostra il tesserino di riconoscimento, giusto per calmare l'aggredito e spiegargli che ha a che fare con la polizia (si noti la critica di fondo a certi metodi che, a quanto pare, all'epoca non erano poi così rari). Non fa solo questo, ma è sul costante filo dell'illecità, tanto che a fine film (finale beffardissimo), dopo aver risolto il caso con una soluzione che concettualmente rimanda a Il Delitto Perfetto, temerà persino di finire in arresto. La cosa non è poi così difficile da ipotizzare dal momento che, pur braccato dai suoi stessi colleghi (tra i quali Renzo Palmer), intrattiene rapporti in odore di corruzione con avvocati penalisti (il grande Adolfo Celi), fleurta con donne di dubbio valore morale salendo a bordo di Ferrari dalla livrea gialla, copre spacciatori di droga, eppure è il primo a ricostruire la catena di eventi innescati dall'assassinio di un produttore discografico ricattatore interpretato da Marino Masè (il sicario de La Città è Sconvolta: Caccia Spietata ai Rapitori, qua impegnato in un rapido cameo). Il trio di sceneggiatori, tra cui Alberto Silvestri e Franco Verucci (provenienti dal cinema d'inchiesta di Damiano Damiani), costruiscono una storia quasi hitchcockiana, un giallo che si dipana lentamente su un piano però intellettuale piuttosto che orientato a una spettacolarizzazione visiva. In altri termini, Guerrieri non mostra gli omicidi e non crea tensione come faranno Dario Argento e Lucio Fulci o come già aveva fatto Mario Bava. Lo spettatore si trova, così come Franco Nero, al cospetto dei vari cadaveri e deve cercare di comprendere quale sia la matrice di fondo. Un noir dunque torbido, che mostra il marciume degli ambienti borghesi altolocati e, a differenza di Lenzi (che guardava più a un piano di devianza psicologica), lo fa sotto un profilo sociologico tra avvocati e poliziotti corrotti, giovani di buona famiglia perduti in rapporti con loschi figuri, giovani cantanti drogate che fanno ancor più soldi se vengono arrestate (una giovanissima Susanna Martinkova con parruccone biondo, poi moglie di Gianni Garko), modelle che passano da un letto a un altro per avere occasioni di lavoro di un certo livello (la bella Delia Boccardo) e femme fatale col gusto per i giovani amici del figlio che guardano al soldo come valore di scalata sociale (Florinda Bolkan). Presente qualche nudo, ma raffigurato con classe e incastonato in un'indagine che si snoda, strada facendo, su due piste, una delle quali, quella seguita inizialmente da Nero, irrilevante ai fini della risoluzione dell'engima e basata su un ricatto per una foto che ritrae una ragazza nuda che si scoprirà essere, dopo lunga indagine atta ricostruire il volto (dato che è stato strappato dalla foto), Susanna Martinkova. Nel cast artistico, in un piccolo ruolo, anche Laura Antonelli.

Un giallo-noir, nel panorama del cinema bis italiano, diverso dal solito.

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