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Kids Return

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Kids Return

di FABIO1971
8 stelle

Masaru (Ken Kaneko) e Shinji (Masanobu Andô) sono due insofferenti compagni di liceo: nonostante la passione per il cabaret e le corse in bicicletta e il comune disinteresse per lo studio, infatti, non riescono a evitare di trascorrere le proprie giornate dissipando le proprie energie in scherzi velenosi a studenti e insegnanti, atti vandalici e furtarelli. Il fatidico passo per allontanarsi dalla "retta via" è dietro l'angolo e per questo motivo i loro professori hanno ancora qualche esitazione a espellerli dalla scuola: "Potrebbero diventare yakuza, ma credo che al massimo diventeranno dei comici. E per di più senza talento". Non ci vuole molto, perciò, perchè finiscano nei guai e la prima, sonora lezione che apprendono è di imparare a difendersi dai più forti. Quindi palestra, boxe, allenamenti. E niente più alcool. Le aspettative e i desideri di un'esaltante carriera pugilistica di Masaru, però, si infrangono di fronte all'evidente superiorità sul ring di Shinji, che lo scalza ben presto nelle simpatie degli allenatori della palestra, sorprendendoli per bravura e talento. Ma la boxe e l'amicizia "sono due cose separate" e mentre la carriera di Shinji procede a gonfie vele, Masaru, ferito per l'inaspettata umiliazione, pianta in asso l'amico e si aggrega alla banda di uno yakuza di quartiere. Si salutano con una promessa di Masaru ("Quando tu sarai un campione e io un boss, ci incontreremo di nuovo"), ma le cose andranno diversamente. Quando si rivedono, Masaru ha una certezza: "Pensi che per noi sia finita?", gli domanda, infatti, Shinji. E lui: "Idiota! Non è ancora cominciata!".
Incorniciato dalla magnifica fotografia del fidato Katsumi Yanagijima (con Kitano da Boiling Point in poi) e contrappuntato dalla favolosa colonna sonora di Joe Hisahishi, da annoverare senz'altro tra i vertici assoluti della sua sterminata produzione musicale, Kids Return segna il ritorno alla regia di Takeshi Kitano dopo il gravissimo incidente motociclistico che ne impedì per lungo tempo ogni attività cinematografica. Adottando le forme suggestive del racconto di formazione giovanile, Beat Takeshi mescola, con la consueta irruenza e la smagliante raffinatezza formale del suo cinema, schegge autobiografiche (l'espulsione da scuola del giovane Kitano, dal carattere "eccessivamente" esuberante, la passione per il cabaret e il pugilato) e corrosività di sguardo, puntando l'indice su una società disumana e famelica nel divorare ogni fremito di vitalità (pessimismo che soltanto nel finale verrà rischiarato da un tenue ma illusorio barlume di speranza), dove la legge del sopruso (dalle aule della scuola ai vicoli più sordidi della città) diviene regola esistenziale e fondamento di ogni relazione umana. E mentre il rincorrersi dei flashback scandisce le evoluzioni temporali della narrazione, momenti di vibrante lirismo (le corse in bicicletta di Shinji e Masaru, i loro sguardi persi di fronte agli interrogativi del futuro) e bordate di sgangherata e irresistibile comicità, tra battute fulminanti e una gag assolutamente strepitosa (i due pugili novizi in tuta verde che chiedono a Shinji di mostrargli un jab), conducono alla sorpresa più inaspettata del film: l'omaggio, vibrante e affettuoso, a Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, con Shinji che si rivela agli occhi degli allenatori della palestra più abile sul ring del suo amico Masaru, come Alain Delon con suo fratello Renato Salvatori davanti allo stupefatto Paolo Stoppa. Un'opera algida e spietata: e, nonostante i guizzi della commedia, tutt'altro che consolatoria.

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