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Principessa Mononoke

Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Principessa Mononoke

di PETRAgrafico88
10 stelle

“La principessa Mononoke” è un lungometraggio animato del 1997, ennesimo capolavoro del regista giapponese Hayao Miyazaki, premio Oscar per “La città incantata” e fondatore dello Studio Ghibli, studio d’animazione che da anni firma eccellenze visive proposte dallo stesso regista e da un altro grande cineasta quale Isao Takahata (“La tomba per le lucciole”).

Dopo una giusta revisione portata sulla qualità dei dialoghi tradotti fatta dalla casa di produzione Lucky Red, tale intervento ha contribuito a far conoscere in Occidente questa e le ulteriori opere filmiche del regista nipponico che, fino ad allora, erano sconosciute dalla nostra parte del globo.

La trama è ambientata nel lontano Giappone rurale, dove ancora emergono le figure degli antichi samurai dell’Imperatore.

Il protagonista del film è il principe di un villaggio di contadini, il suo nome è Ashitaka.

Un giorno, costretto a scontrarsi con un demone che minaccia la vita dei suoi cittadini, venendo ferito gravemente, Ashitaka, a causa di tale demoniaca ferita, come afferma la sacerdotessa del villaggio, sarà condannato ad atroci sofferenze che lo porteranno presto alla morte. Da questo punto in poi, Il principe decide di partire in cerca del Dio della Foresta, l' unica figura in grado di potere spezzare la maledizione che gli è stata imposta e fare luce sulle gravi disgrazie che gravano sulla foresta stessa.

Attraverso questo viaggio, il principe conoscerà non solo il vero significato della sua maledizione, impostagli dall’ odio che gli stessi suoi simili hanno riversato sulla Natura dopo continui sfruttamenti, ma sarà testimone di un’ avventura che lo porterà a fare la conoscenza della Ragazza-Lupo, ossia Mononoke, una ragazza amica dei lupi e acerrima nemica degli uomini e della loro speculazione, ed in particolare di Lady Eboshi, la padrona della Città del Ferro, responsabile essa di molte delle disgrazie che, trasversalmente ai suoi irresponsabili comportamenti, hanno colpito Ashitaka e tutta la Natura della foresta.

Toccherà al principe, quindi, riuscire a trovare un giusto contatto fra gli uomini e la Foresta per placare questa sete di odio e vendetta.

Considerato dalla critica uno dei lungometraggi più belli del cinema di Miyazaky dopo “Il castello errante di Howl” e “La città incantata”, questa storia parla dell'ostinazione umana e della sua ricerca impietosa e violenta del progresso, che porta l'uomo a dimenticarsi della vita di una creatura altra fondamentale per il mondo, che è, appunto, Madre Natura.

Il fulcro della narrazione è certamente il personaggio di Ashitaka.

Il principe rappresenta il carattere perfetto: buono, altruista, nemico della disuguaglianza, alla ricerca di un se interiore capace di portarlo alla soluzione della causa dell’ odio che gli animali, ovvero i Grandi Cinghiali e i Grandi Lupi, nutrono per l’ uomo e la sua natura belligerante. E’ una guida introduttiva, una freccia da seguire per scorporare il problema dalle sue prime cause fino alle possibili soluzioni; anch’esso è un ponte fra due mondi diversi, come fu lo stesso personaggio di Nausicaa nell’ omonimo film, per la comprensione degli errori umani. Miyazaki si affida a tale bella e delicata figura per spingerci attraverso una narrazione difficile, immersa fra il thriller, l’ horror e l’ action-movie e ricca di significati importanti che, adesso, andremo ad affrontare più concretamente.

scena

Principessa Mononoke (1997): scena

L’ intento primario del regista nipponico in questa pellicola è quello di riuscire a descrivere perfettamente, e con grande enfasi, l'adesione alla violenza di entrambe le specie, di uomini e animali che, nella difesa delle loro civiltà, non esitano a mettere l'odio davanti ai loro principi; gli stessi Grandi Lupi e Grandi Cinghiali, che dovrebbero costituire la parte lesa nella storia, sono caratteri ambigui, a volte ancor più spietati degli uomini stessi, pur avendo dalla loro la prima parte di ragione ma, anch’essi, sono sostenuti dalla logica dei cattivi sentimenti, riposta nella necessità assoluta di preservarsi dalla fine imminente. Sono animali stufi, arrabbiati, delle vere e proprie belve portate all’ esasperazione, che non vedono più il fuggire come mezzo per difendersi ma la lotta, intesa come lotta per la conservazione senza remore e scrupoli, avvampati dalla carica emozionale della vendetta, diversamente concepiti e lontani da ciò che ci si aspetterebbe che facessero gli animali nella vita reale. Non sono più vittime ma carnefici, un ribaltamento obbligato dall’ essere umano stesso che, con l’ insistenza della reiterazione delle ingiustizie nei loro confronti, ne ha fatto il suo peggior nemico.

Questo pensiero, a partire dai Grandi Cinghiali e i Grandi Lupi fino agli uomini, con Lady Eboshi in cima alla lista, rispecchia come i sentimenti avversi siano univoci da entrambe le parti, perfettamente capiti e scolpiti nei dialoghi e nelle espressioni. L’ odio, la vendetta, il non volere avere rispetto sono tappe obbligate, raggiunte molto più dagli animali che dagli esseri umani, se vogliamo, ma, comunque, le stesse in ognuna delle fazioni, e ciò riporta alla mente di noi spettatori il detto di Plauto, poi divenuto concetto filosofico con il filosofo T. Hobbes, ovvero “Homo Homini Lupus”, concetto appunto dove viene considerata la natura umana come un continuo egoismo, una lotta fra esseri uguali che in vita non riescono a fare altro che sbranarsi fra loro, e che arrivano ad unirsi solo per raggiungere i propri scopi, facendo di loro stessi degli animali peggiori degli animali stessi nonostante il dono della coscienza e della ragione.

Tale visione, riflettendo, può essere benissimo riscontrata nell’ opera filmica come struttura di base, concetto primario portato  apposta all’ esasperazione.

scena

Principessa Mononoke (1997): scena

Il personaggio di Mononoke rientra anch’ esso, in qualche modo, in questo concetto. Mononoke incarna una dea Diana moderna, al servizio della Natura per cui è disposta ad uccidere e venire uccisa: cresciuta fin da piccola con i lupi, gli ultimi lupi grandi e feroci, è il personaggio che, dall’ inizio del film, noi spettatori compatiamo ma che, alla fine, poniamo allo stesso livello della padrona della Città del Ferro, Lady Eboshi; la Ragazza-Lupo, infatti, ha in sé la combattività dell’ animale senza per forza soffocare il sentimento pietoso dell’ umanità, e questa difformità, quest'ambiguità di fondo, fa si che divenga un tramite bellicoso, più arrabbiato che mai, che deve combattere per forza la sua guerra personale contro gli usurpatori, gli stessi suoi simili che vogliono invadere la sua casa e uccidere il suo habitat.

La padrona Eboshi, la sovraintendente della Città del Ferro, specularmente, seppur attratta da motivazioni diverse, anch' essa è un ambiguo carattere dalle sfaccettature incongruenti: è buona verso i suoi simili ma spietata nei confronti della Foresta, è caritatevole con i lebbrosi ma temibile e infida, così come sa essere la paladina della libertà (ha liberato le donne della città, schiave di altri uomini, ponendole al loro stesso livello sociale) e poi si fa portatrice di distruzione.

Mononoke e Eboshi, quindi, pur facendosi messaggere di bandiere diverse , sono due figure identiche, se vogliamo, perchè

nell’ odio trovano il sentimento perfetto che le guida alla lotta, che dà loro una giustificazione.

Il principe Ashitaka, al contrario, è proprio il carattere chiamato a fare, per questo conflitto, il tramite che agisce per ritrovare l’armonia. Si pone in mezzo alle due figure femminili proponendoci, di ognuna, i giusti punti di vista, cosicché lo spettatore, seppur inorridito da certe tematiche ingiuste, possa vedere da entrambe le parti le ragioni plausibili ad un sentimento di distruzione assoluta così forte che si rispecchia nelle loro intenzioni.

Questo succede perché in Miyazaki la distinzione tra bene e male non è del tutto netta: nella misericordia più totale, ci mostra come sia difficile mettersi nei panni dell’ altro, del diverso, nel confronto tra due realtà che, all’ apparenza, non hanno niente in comune ma che, riflettendo bene, hanno lo stesso identico bisogno, ovvero la sopravvivenza; il regista, in tutte le sue opere, offre cattivi che, in fondo, cattivi del tutto non sono, anzi, sono capaci di sentimenti nobili, possono cambiare idea, creano alleanze con i loro oppositori, fanno loro stessi da ponte fra diversi problemi una volta capito il valore del sacrificio posto dall’ estraneo, dal nemico delle loro credenze.

Importantissima caratteristica in questo film come in tutte le opere del regista è il ricordo dello scoppio della Bomba Atomica: tale tematica è sempre presente nel lungometraggio, e ciò fa comprendere che tale tragedia ha radicato nei giapponesi, almeno quelli che hanno vissuto in prima persona o attraverso i loro cari quest’ orribile momento storico, un senso di rispetto per la vita e per la grande Madre Natura, in particolare, non paragonabile alla struttura occidentale del progresso o a un certo Giappone avanzato.Il vero progresso, secondo il regista, è l’ ecologia, la sostenibilità, l’ armonia secondo cui tutto sta in piedi e si trasforma secondo i ritmi naturali: la stessa Eboshi capirà a sue spese che la Foresta e i suoi spiriti vanno rispettati per la loro unicità, per il ruolo indispensabile nei confronti del Creato, ponendo noi spettatori a capire che il punto di partenza della visione filmica di tale opera è proprio il rispetto per la Natura, cosicché essa non debba essere costretta a mutare il suo aspetto e, per sopravvivere, debba essere costretta a travolgere noi uomini e ciò che si è costruito sulla base della nostra conoscenza, costringendo l’ umanità ad accorgersi bruscamente e, nel peggiore dei modi, ossia odiando, degli errori che si sono compiuti nei confronti

dell’ ecosistema.

Miyazaki, permettetemi di aggiungere, fa parte di quella ristretta cerchia di registi (Charlie Chaplin e Orson Welles, per dire dei nomi!) considerati come veggenti della storia, che hanno saputo precognizzare ciò che in tempi lontani dalla loro epoca sarebbe potuto succedere, e questo film è un ennesimo monito contro le deforestazioni, lo sfruttamento delle risorse, l' inaridimento della terra e così via, un continuo sradicamento della componente naturalistica a cui dobbiamo porre rimendio, e che, nel film, vediamo realizzato nella figura della Città del Ferro che, seppur essendo luogo che, nel suo interno, è fonte della misericordia e della bontà della padrona Eboshi nei confronti dei suoi simili (le donne lavoratrici e i lebbrosi in particolare!), al di fuori esso si presenta inospitale, infernale, fuligginoso, un ricordo netto dell’ età industrializzata che, nell’ Ottocento, vide il suo più grande successo, proponente progresso e nuove tecnologie ma, specularmente, verso la stessa umanità che lo rendeva possibile, esso portò fumo e ciminiere, sfruttamento e vita sacrificata, si vedano, a tal proposito, i libri di Dickens, scrittore dall’ importanza fondamentale che ha fotografato in maniera spettacolare nelle cosiddette “Coke Towns” una società industriale infernale e irrispettosa sia dell’ ambiente puro che del concetto stesso di uomo, e che, ancora oggi, ricordando come queste città si presentassero, anche attraverso varie opere pittoriche dell’ epoca, si ha l’impressione che del colore e dell’ armonia la società presunta moderna, anche quella dei giorni nostri, non sappia proprio che farsene.

scena

Principessa Mononoke (1997): scena

Tutto questo concetto onnipotente dell’uomo che fa dell’ecologia una parola da usarsi ogni tanto è una visione umana del vivere che Miyazaki sottolinea e, dall’alto della sua esperienza e del ricordo atroce ereditato dalla guerra, avverte come il tramite tra uomo e natura non debba costituirsi nella sudditanza reciproca e nella violenza del progresso, ma che la vita stessa debba portarsi a continuare il suo sviluppo nel rispetto per le differenze e l’ esistenza di ogni creatura, ristabilendo sempre quell'equilibrio naturale che tanto l'uomo vuole sovvertire e che, spesso, gli ha restituito scompensi e catastrofi naturali.

La simbologia dello Spirito della Foresta è inestimabile: il Dio Cervo dal viso antropomorfo è una presenza silenziosa, muta, che lascia che gli eventi avvengano, anch’ esso di un’ ambiguità travolgente; infatti, lo spettatore non si spiega il perché egli non intervenga prima che gli venga fatto del male, così da portare scompiglio e sorpresa nella narrazione.

In esso vengono racchiusi altri messaggi: ad esempio, possiamo ritrovare antiche credenze religiose nella complessità dei suoi comportamenti, come quella degli Dei greci che, mutando forma, restituivano all’ uomo i castighi condotti dalla loro audacia, oppure le stesse leggende nordiche di "Sigfrido e i Nibelunghi", dove lo sfidare gli Dei significava inimicarsi la loro natura pachidermica e non partecipativa, con la conseguenza di ricevere quanto più male si potesse immaginare. A differenza di tali leggende, qui ci viene mostrato un Dio Cervo onnipotente, quieto, al di sopra degli avvenimenti, che fa agire l’ essere umano per poi vederlo crollare nelle sue stesse sabbie mobili, quelle dell’ immoralità e della cattiveria.

L’ unico in grado di ascoltarne la voce e riceverne l’ aiuto propizio è proprio Ashitaka, ossia il tramite, il ponte tra uomo e natura, la corda su cui salire per raggiungere la vetta del rispetto e dell’ armonia: un Prometeo orientale che porta luce all’ umanità, una figura splendida che rischiara la vita di personaggi in lotta, sperduti tra le fiamme dell’ odio e dell’ intemperanza.

Nel corso della pellicola ritroviamo i bellissimi concetti di dinamismo e cura dei particolari tipici di questo cineasta che ne hanno decretato meritatamente l’appellativo di “Walt Disney giapponese”: movimenti perfetti che coronano magistralmente scene d’ azione difficili da realizzare, una sceneggiatura forte ma senza sbavature o confusioni, fondali magnifici e differente visione tipicamente orientale del concetto di natura impreziosita dalle oniriche visioni degli Spiriti della Foresta e tutto ciò che si collega al fantastico che interagisce con il reale, come la visione del Dio Cervo che si trasforma ne “L’Uomo che cammina nella Notte”, in cui l’issarsi in alto, raggiungere alte visioni, portare con sé l’ astrazione dal mondo, riportano alla bellezza del volo, passione consueta e riscontrata in molte opere dello stesso regista, nonchè una splendida ed evocativa colonna sonora firmata Joe Hisaishi, atta soprattutto a sottolinearne i momenti spettacolari, accompagnando l’ azione con incalzanti motivi musicali che mai abbandonano la tipica e bellissima atmosfera orientale.

La principessa Mononoke” si potrebbe definire un Colossal dell’ animazione su cui è necessario dilungarsi nell’ analisi, per la perfezione e l’ importanza degli argomenti trattati e la sconvolgente visione del bene e del male, un altro capolavoro che, purtroppo, viene ancora poco apprezzato, rimanendo ingiustamente “di nicchia” quando dovrebbe, per lo spessore filmico elevato e le grandi emozioni che si possono riscontrare, essere ben considerato in un panorama che vede ancora l’ animazione come una secondaria arte filmica, destinata soli ai più giovani e non vista come la custode delle metafore della nostra vita da cui tutti possono imparare facendosi travolgere dalla sua poesia, qualvolta essa sia realmente presente.

A conclusione, spero davvero che un’ opera così bella e originale riceva più successo: se lo merita! .

 

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