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Il viaggio di Felicia

Regia di Atom Egoyan vedi scheda film

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La recensione su Il viaggio di Felicia

di FilmTv Rivista
8 stelle

Una storia di madri e di figli, di padri e di figlie. Una storia silenziosa e, talvolta, raccapricciante, nella quale due personaggi, ugualmente solitari e in qualche maniera “diversi”, si incontrano per lo spazio di un incubo. Lei è Felicia, una ragazza irlandese sbarcata a Birmingham alla ricerca del suo fidanzato, ritornato in patria alla ricerca di un lavoro. Felicia è incinta, suo padre non vuole saperne di quello che chiama “il figlio del nemico”. Lui è Hilditch, un uomo di mezza età, all’apparenza tranquillo, che vive solo nella bella casa di famiglia e fa il supervisore del catering per un’industria locale. Hilditch è un gourmet nato, affezionato alla preparazione del cibo e al rituale del pasto. Nella sua cucina, spesso, troneggia da uno schermo l’immagine di sua madre, una signora azzimata che negli anni ’50 aveva una rubrica di cucina sulla BBC. Fin dal primo, bellissimo piano sequenza con cui Egoyan ci introduce nella casa, dall’ingresso al “santuario” della cucina, abbiamo la percezione di un mondo a parte, quasi “congelato” nella ripetizione di gesti copiati dal passato. E presto, nel pedinamento quasi impercettibile cui Hilditch sottopone Felicia, negli incontri spesso sgradevoli della ragazza, nei rapidi, secchi flashback sull’Irlanda e in quelli sgranati che tratteggiano in un colpo i rapporti di Hilditch con sua madre, il disagio prende corpo, fino alla rivelazione (non inaspettata) della perversione di Hilditch, che con la sua sollecitudine si fa amico di donne infelici e deluse e poi le uccide. Un serial killer gentile, con gli stessi imbarazzi di Norman Bates in “Psyco”, con il bicchiere di latte drogato di Cary Grant nel “Sospetto”. Le citazioni hitchcockiane non sono casuali: è Atom Egoyan che le dissemina apertamente in un film di ambiguità sottile e tormentata, costruito con meticoloso dolore. “Il viaggio di Felicia” non è un urlo straziato come “Il dolce domani”, ma un singhiozzo costante e soffocato, un viaggio nell’infelicità repressa, nel passato che non muore.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 44 del 1999

Autore: Emanuela Martini

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