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Tensión sexual, Volumen 1: Volátil

Regia di Marco Berger, Marcelo Briem Stamm vedi scheda film

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La recensione su Tensión sexual, Volumen 1: Volátil

di scapigliato
9 stelle

Sei episodi di contenuto omoerotico – o forse no?, ci arriveremo dopo – diretti a quattro mani da Marcelo Mónaco (Ari, El otro, Amor) e Marco Berger (El primo, Los brazos rotos, Entrenamiento). Il titolo del film è indicativo della poetica che i due registi vogliono adottare per raccontare storie di taglio per lo più neorealista in cui corpi maschili eteronormalizzati vengo erotizzati dallo sguardo queer. La tensione a cui si allude nel titolo innerva la scrittura drammatica e la realizzazione visiva incardinata soprattutto sulla coreografia della prossimità. Dal primo all’ultimo episodio, i corpi dei protagonisti vengono ritratti nei momenti di massima prossimità, mentre le distanze vengono lasciate al fuori campo o all’ellissi narrativa.

Tensión sexual: volátil non va visto come un film omosessuale per omosessuali, perché nelle scelte poetiche ed estetiche dei due registi, ovviamente conosciuti per la loro rispettiva filmografia queer, non si registra un tentativo di racconto omosessuale orientato, quanto piuttosto si intercettano segni e significati liminali che convogliano l’attenzione critica ed epistemologica verso la comprensione del potenziale omoerotico che vivono i protagonisti, piuttosto che l’esperienza sessuale reale, che infatti viene regolarmente disattesa. Non è un taglio autocensorio né tantomeno un orgasmo autoriale dei due registi, ma è piuttosto la strategia narrativa dell’interruzione in medias res con tutti i significati impliciti che ne derivano. Uno su tutti, fondante in Tensión sexual: volátil, è la riflessione, il questionamento, l’arrovellamento, sia dei personaggi sia degli spettatori, sull’oggetto estetico. Siamo di fronte a racconti oggettivamente omosessuali, omoerotici o eteronormalizzati, o piuttosto è il nostro sguardo a orientarli?

Pensiamo all’episodio, a mio parere, più bello, più cristallino, più intenso, più vero anche da un punto di vista drammatico, ovvero El primo, firmato da Marco Berger: un ragazzo è ospite di un suo amico durante l’umida estate argentina e condivide la piccola stanza con il di lui cugino. La prossimità dei corpi quasi sempre seminudi, le fisiologie notturne e quotidiane, l’intimità dello spazio ristretto, lo sguardo curioso di entrambi sulle forme dell’altro, non sono necessariamente elementi narrativi per una critica omosessuale del racconto, ma è lo sguardo registico che, preferendo certi tagli, certe inquadrature e certi dettagli, orienta lo sguardo spettatoriale verso l’epifania di un omoerotismo primitivo, connaturato all’essere umano e per il quale aveva già speso parole Leslie Fiedler nel monumentale Amore e morte nel romanzo americano (1966) parlando, oltre che del matrimonio impossibile tra maschi che può solo avvenire nella fuga mascolina nella natura, lontano dalla femminilità del focolare domestico, anche dell’omosessualità innocente, ovvero di come la omosocialità etero-orientata può trasformarsi di colpo in manifestazione dell’omoerotismo in cui vengono a perdersi inibizioni e confini netti, per trovare nella liminalità della situazione/narrazione la frontiera tra l’amore platonico degli amici amanti di origine classica e il vero e proprio desiderio sessuale dell’età moderna.

L’omoerotismo è condiviso dagli uomini, anche a loro insaputa, nelle palestre, sul lavoro, sui campi da gioco, nelle docce, al mare, in vacanza, ovunque la solitudine del corpo maschile trova conforto solo nella presenza dell’altro corpo maschile. In rete per esempio è facile trovare video, o “stories” sui vari social media, in cui ragazzi, per lo più tra i 14 e 25 anni, omoerotizzano il proprio corpo e quello dei pari attraverso l’inibizione dello scherzo, della goliardata, dell’enfasi amicale che di fatto giustificano i loro corpi nudi o seminudi in situazioni decontestualizzate. Berger e Mónaco parlano, forse, più a questo pubblico, omoerotizzato che al pubblico prettamente gay. Un pubblico fatto per lo più da adolescenti o young adult che, attraverso i nuovi tenori di vita, le aspettative sociali e il culto alla perfezione estetica di matrice iperedonista, praticano coscientemente quella che Mark Simpson ha chiamato “omosessualizzazione della cultura mainstream” (2014) coniando, al posto dell’ormai defunto metrosexual quello di spornsexual, di cui Cristiano Ronaldo e Mario Casas sono già icone. Il termine, generato dalla crasi tra sport e porno, quindi pornografia del corpo sportivo esasperato, indicherebbe l’estetica maschile che dal 2009, anno della crisi mondiale, ha soppianto il metrosexual degli anni ‘90, a sua volta già ridimensionato dal retrosexual dei primi Anni Zero, e strutturata intorno alla feticizzazione del proprio corpo, unica risorsa per essere monetizzabili in anni di crisi economica e culturale.

Il film di Berger e Mónaco, quindi, ben lungi dal rappresentare coscientemente le nuove tendenze e terminologie sociologiche, ha il pregio di raccontare quella fetta di ragazzi e uomini che, pur non sfoggiando corpi scultorei e iperedonisti – tranne nell’episodio Entrenamiento – e senza essere necessariamente omosessuali, sanno prima percepire sensibilmente e poi interrogarsi sul principio della tensione erotica come apripista per l’autodeterminazione. O solo come idilliaco e platonico passaggio obbligato nella coscienzializzazione della propria virilità.

Esiste anche una versione tutta al femminile sempre diretta da Berger e Mónaco, Tensión sexual, volumen 2: Violetas (2013).

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