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Il conformista

Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il conformista

di yume
8 stelle

Metafora di un modo di essere italiani, Il conformista, romanzo o film, non teme il tempo o le mode, anzi dovrebbe tornare con rinnovato richiamo nelle sale cinematografiche e sugli scaffali delle librerie, perché siamo convinti che, come i classici, “non finisca mai di dire quello che ha da dire” (I.Calvino)

Il conformista (1970) con La strategia del ragno, stesso anno,è una tappa importante nella storia di Bernardo Bertolucci poiché segna la nascita di uno stile e di un linguaggio innovativi che scriveranno pagine di grande cinema negli anni successivi.

Vedremo cosa rende questa pellicola una delle prove migliori del regista, ma crediamo che non si possa pensare al film senza occuparsi prima del romanzo a cui è ispirato, scritto nel 1951 da Alberto Moravia.

Pur essendo evidente che il rapporto tra un film e l’opera letteraria non implica molto di più di un interesse documentario, ci sono opere legate da simbiosi tale che l’analisi dell’una porta, con naturale spostamento di attenzione, ad occuparsi anche dell’altra.

Nel caso de Il conformista non ci chiediamo se e quanto il film si discosti dal libro, gli sviluppi narrativi, i tagli di scena, il trattamento dei personaggi sono ad arbitrio totale dell’autore.

Quello che desta interesse, nell’ avvicinarsi alle due opere, è il contesto di riferimento, anni particolarmente torbidi della storia d’Italia, segnati fra gli altri da un delitto efferato, l’uccisione dei fratelli Rosselli avvenuta il 9 giugno 1938 in Francia.

Le famiglie Pincherle/Rosselli e Pincherle/Moravia erano legate da stretta parentela, e dopo il delitto la fitta corrispondenza intercorsa per anni fra il giovane Alberto e la zia Amelia, madre di Nello e Carlo, fu interrotta da Moravia.Per anni lamalattia ossea che costringeva il ragazzo a ripetuti ricoveri e all’immobilità forzata era stata alleviata da queste lettere alla zia, donna intelligente e forte, che gli avevano dato lo stimolo a non arrendersi.

Lei si dolse a tal punto del suo silenzio che i rapporti con lo scrittore ripresero, debolmente, solo molti anni dopo, quando Moravia cercò di spiegare, forse troppo laconicamente, le sue ragioni. Sui motivi di tale comportamento molto è stato detto e ipotizzato, quel silenzio fu mal giudicato e lo scrittore tacciato di opportunismo.

Di recente Simone Casini, curatore della raccolta Lettere ad Amelia Rosselli con altre lettere familiari e prime poesie (1915-1951), Alberto Moravia, Bompiani 2010,ha reso giustizia allo scrittore facendo luce sui suoi rapporti con i Rosselli e sulla sua “non-opposizione” al regime. 

Forse fu una sorta di diffidenza da parte di Moravia nei confronti dello stile di vita della famiglia dei cugini che in qualche modo vedeva come ingenui e sentiva, in modo contraddittorio, come gli antifascisti fossero perdenti. La sua vita familiare lo portava a una sorta di ribellione o di rivolta non certo alla lotta civile ... si innesta un altro sentimento, forse una sorta di risentimento verso quei cugini che lo prendevano un po’ in giro e lo consideravano un ragazzino... Famiglie profondamente diverse e fortemente unite da un sincero legame d’affetto. Due ambienti differenti, forse troppo rigido e poco stimolante quello dei Pincherle, ricco di sensibilità civile e preparazione politica quello dei Rosselli…” (estratti da prefazioni al testo)

 

E dunque, poiché un documentario RAI sui fratelli Rosselli trasmesso di recente fa ancora riferimento a Il conformista di Moravia come ispirato da una specie di autobiografismo risalente a quel periodo e a quegli eventi, un’indagine parallela sul romanzo e il film di Bertolucci, girato venti anni dopo, forse può collaborare alla verità dei fatti e degli intendimenti.

 

Nel dopoguerra, e un anno prima della messa all’indice di tutta la sua opera nel 1952, Moravia scrisse questo romanzo giudicato da gran parte della critica: “… la sua caduta peggiore, anche se è uno dei suoi libri più coraggiosi e ambiziosi”.

Parole di Oreste del Buono che aggiunge: “Dopo un prologo che richiama al noto racconto Enfance d’un chef di Sartre, sprofondiamo in una congerie di fatti forse simbolici ma troppo macchinosi, grevi”.

Non è questa la sede per occuparci criticamente del fatto letterario. Dopo aver constatato l’ottima confezione del film, risalendo alla sua fonte ispiratrice la domanda è: quali sono i reali motivi che hanno portato Moravia a scrivere Il conformista e fino a che punto gli intenti dei due autori convergono?

Quali che siano i difetti dell’opera, il punto d’interesse è la suggestione che le vicende trattate, il ruolo e la forma del personaggio protagonista e il clima che si respira nel film e nel romanzo creano nello spettatore/lettore.

Jean-Louis Trintignant

Il conformista (1970): Jean-Louis Trintignant

Entrambe le opere tracciano uno spaccato dell’Italia fra le due guerre di estremo interesse, il polo di attrazione è il protagonista, Marcello Clerici, icona di una borghesia sfilacciata, decadente, classe sociale che si adatta ad ogni stereotipo, prima responsabile del clima di odio e violenza di quegli anni e dell’involuzione autoritaria del regime.

Il tema politico s’innesta su quello psicanalitico soprattutto nel film, aderendo alla cifra inconfondibile del cinema di Bertolucci, la componente politica è forte in entrambi con il continuo richiamo al tema della normalizzazione massificante che favorisce il Fascismo, e l’ossessiva ricerca di conformismo compiuta da Marcello altro non è che il riflesso individuale della cecità delle masse.

Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono” dice un personaggio di Cecità di Saramago.

Un romanzo recente (1995), una storia lontana, ma non abbastanza.

Scriveva Elias Canetti in Massa e Potere :“…Uso l’espressione muta per uomini anziché per animali, poiché designa nel modo migliore la collettività del movimento frettoloso e la meta concreta dinanzi agli occhi di tutti coloro che vi sono coinvolti. La muta vuole una preda: vuole il suo sangue e la sua morte. Deve inseguirla veloce e senza lasciarsi distrarre, con astuzia e tenacia, per afferrarla. La muta si incoraggia abbaiando tutta insieme. Non si deve sottovalutare l’efficacia di questo clamore in cui si mescolano le voci dei singoli animali. E’ un clamore che può diminuire e di nuovo aumentare; ma non tace: esso contiene l’attacco”.

 

La scena del feroce sgozzamento del prof Quadri tra i boschi dell’alta Savoia e dell’inseguimento e morte di sua moglie Anna non potrebbero essere descritti meglio..

Ma seguiamo le tappe del racconto attraverso la mirabile costruzione del regista.

 

SINOSSI

Marcello Clerici (Jean-Louis Trintignant) è il conformista, personaggio sulla cui complessità il film getta fasci di luce decisamente più chiarificatori di quanto non faccia il romanzo. Per coronare il suo percorso d’integrazione alla “normalità”, condizione a cui aspira avvertendo la sua “anormalità” come pericolo e macchia, si offre come volontario dell' Ovra, la polizia segreta fascista, e il viaggio di nozze a Parigi servirà di copertura per la missione di uccidere Quadri (Enzo Tarascio), suo docente all’Università, un secondo padre intellettuale, dopo quello naturale, da togliere di mezzo.

Bertolucci costruisce la storia attraverso continui flashback, iniziando dal pre-finale (partenza dall’albergo di Parigi verso la Savoia dove avverrà la mattanza del fuoruscito antifascista e di sua moglie Anna), sviluppando attraverso quadri successivi tutto il percorso di formazione dell’uomo, fin dall’infanzia.

Nel finale, con epilogo diverso dal romanzo, il focus sarà puntato esclusivamente su di lui, ormai definitivamente integrato nel suo guscio conformistico e pronto a tradire tutto e tutti per rientrare nei ranghi dei nuovi poteri dopo la caduta del Fascismo.

Perfetta icona della borghesia destinata a rimanere sempre in piedi ad ogni cambio di rotta, Marcello non esita ad accettare il nuovo ordine rinnegando il passato.

La sua complessa personalità si delinea scena dopo scena attraverso un lavoro magistrale di regia.

Uno alla volta si aggiungono tasselli di una personalità disturbata, cinica e orientata alla crudeltà, che s’impone sullo schermo per la freddezza e la misurata eleganza del suo muoversi con passo felpato, sempre in cappotto e abito scuro, cappello, parole pesate, un controllo totale dello spazio.

Appaiono una per volta le figure che hanno segnato il suo sviluppo fin dall’infanzia, tasselli autonomi che vanno a sistemarsi nel puzzle della sua vita:un padre pazzo forse per la sifilide (Giuseppe Addobbati), fascista, picchiatore e assassino, una madre (Milly) drogata e quasi ninfomane, Lino (Pierre Clementi), un autista pederasta alle cui avances sfugge sparando e credendo di aver ucciso (Lino ricompare nel finale a sorpresa).

 

Stefania Sandrelli, Dominique Sanda

Il conformista (1970): Stefania Sandrelli, Dominique Sanda

Sono gli elementi di disturbo di una crescita che lui considera “anormale”, e sfuggire alla loro pervertita influenza significa cercare sponda in una “normalità” rassicurante, che in quegli anni non poteva che essere il Fascismo.

Il matrimonio con Giulia (Stefania Sandrelli) sarà un modo per esorcizzare quel sospetto di omosessualità che lo perseguitava fin dalla scuola, quando era oggetto di lazzi e frizzi da parte dei compagni. Giulia, figura “animalesca e imprevedibile (che) si impone al marito intellettuale perplesso e rabbioso”, è personaggio antitetico ad Anna (Dominique Sanda), moglie di Quadri, intellettuale, misteriosa e seduttiva.

Marcello è affascinato da Anna fin dal primo incontro, ma l’omosessualità della donna, attratta da Giulia, provocano il disinteresse dell’uomo alla sua sorte, e nella scena violenta in cui lei cerca di sfuggire ai sicari lui la guarda inerte e inespressivo dall’interno dell’auto.

 

La freddezza agghiacciante di Marcello, qualunque cosa faccia, è continuamente sottolineata da inquadrature che lo riprendono attraverso vetri o specchi, c’è sempre un diaframma gelido fra lui e il mondo e la sua personalità tortuosa e sfuggente lo pone spesso dentro inquadrature sghembe.

Gli spazi in cui si muove sono asettiche geometrie prive di vita e calore che Vittorio Storaro invade di luce fredda, spazi inquietanti alla De Chirico, o decadenti interni déco della buona borghesia in cui il gioco di luci e ombre sembra inghiottire ora l’uno ora l’altro personaggio.

Il mito della caverna di Platone rievocato nello studio denso di ombre di Quadri, certi interni di wagon lits “allietati” dai versi del poeta/Vate recitati da Marcello “… piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggeri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bellache ieri t’illuse, che oggi m’illude,o Ermione “ o dal racconto morboso e morbosamente ascoltato da Marcello dello sverginamento di Giulia ad opera del sessantenne Perpuzio, amico di famiglia, il disordine denso di torbidi profumi della stanza da letto della madre, il buio di vicoli malfamati della vecchia Roma dove si consumano pestaggi e malaffare e dove Marcello abbandona alla sua sorte il vecchio amico Italo Montanari (José Quaglio), il cieco cantore radiofonico del tripudio fascista, ora solo e in disgrazia, sono tutti scenari di contorno di un’esistenza sterile, votata alla nullificazione, alla solitudine, alla morte.

E morte ci sarà nel romanzo.

Bertolucci sceglie con maggior suggestione il finale diverso di cui abbiamo detto.

Metafora di un modo di essere italiani, Il conformista, romanzo o film, non teme il tempo o le mode, anzi dovrebbe tornare con rinnovato richiamo nelle sale cinematografiche e sugli scaffali delle librerie, perché siamo convinti che, come i classici, “non finisca mai di dire quello che ha da dire” (I.Calvino)

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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