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Dune

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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M Valdemar

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La recensione su Dune

di M Valdemar
4 stelle

 

locandina

Dune (2021): locandina

 

 

Dune è un film monco.
Dune è un film monc
Dune è un film mon
Dune è un film mo
Dune è un film m

Dune è un film che, sebbene monco, non manca di ammainare una sua intrinseca, estemporanea compiutezza.
Un secondo, conclusivo capitolo arriverà, forse, probabilmente (perlomeno in riferimento al primo romanzo), ma non è questo il punto (per quanto, beh, di punti e puntini di sospensione ce ne starebbero... sì... Si sta al gioco, suvvia).
Il punto è questo. Questo: . ← Quello.
Un puntino nella dimensione interstellare futur(ist)a - concepita da un FH forse sott'acido eoni fa - laddove, in luogo di un'assente ahinoi Gilda Spaziale, giunge l'essenza di un Villeneuve formato/firmato/filmato "blockbuster d'autore".
Autore che fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro dei saporosi vermoni hoolywoodiani? Chissà (Chi sa, è perché ha viaggiato nello spaziotempo critico, clinico, acrilico).
Con gaudente spirito impiegatizio, o dello studente diligente dedito a compiacere il gaio maestro, il tizio di Incendies s'accende come trizio alla abbagliante luce del Sole delle Convenzionalità e dei Didascalismi e delle Sabbie della Buona Tecnica.
All'avanguardia, nella creazione di un mondocinema che sappia raggiungere i seppiati steccati del consenso popolare, invero.
Né pori né grasse imperfezioni formali né curve o brufoli o dossi; e men che meno paradossi, depravazioni , dissesti: una dissetante, garbata liscezza concettual-performativa permea inquadrature e pixel, calzando come tuta distillante lo spettatore che s'abbevera dei propri fluidi organici alimentati da visioni carezzevoli. Tanto più quanto il dramma si inietta scientemente di epicità diluita/tagliata, opportunamente e prevedibilmente sottolineata (anche per mezzo di un avvinazzato Hans Zimmer).
Giusto una carezza sul viso dell'Eletto Timothée Chalamet, bellamente inadeguato al personaggio, del quale non sa rendere minimamente tormenti e dubbi e incertezze (inequivocabile: scena della mano nella scatola, mdp e montaggio costretti ad alternare il suo inebetito primo piano da sforzo pelvico con quello dell'invece convincente Rebecca "sguardo perforante" Ferguson), eppure dannatamente adeguato giacché veste esemplarmente l'uomo (ometto/omeletto: un idoletto) dell'oggi.

Timothée Chalamet, Josh Brolin

Dune (2021): Timothée Chalamet, Josh Brolin

Javier Bardem

Dune (2021): Javier Bardem


Così è, anche se non ci/vi/gli (com)pare: appare un guasconesco Jason Momoa, e ci può stare (insomma), Gurney/Josh Brolin pareggia i tanti bravi soldati servizievoli di mille altre galassie viste e straviste; altre cose appaiono mentr'altre scompaiono e altre ancora cambiano (genere/i, identità, entità di istanze), e illusioni di quel che poteva essere e invece è (sintetizzabili in una sintetica evanescente visione d'una Zendaya modello-modella bella statuina) dominano indisturbate distraendo con livelli e sche(r)mi di un'architettura visivo-sonora impeccabile e di un'impaginazione così lineare e confortevole da potersi permettere stalli e abbozzi.
Progettato per piacere, per non causare dispiacere, per giustificare la sua esistenza, e prolungarla perché è giusto così, e così è cosa buona e giusta - amen - il Dune di Denis Villeneuve veleggia sicuro tra acque chiare e celesti, fremente di pittare i fondali con una patina un po' (tanto) beige un po' CGI/desertica (e un troppino banalmente fredda per gli interni), dirigendo meccanicamente il mezzo (enorme, per aspettative e riflessi storici, va detto) con la sobria, educata agilità di chi la spezia nemmeno la assaggerebbe.
Figurarsi saperne rendere sullo schermo il mistero e l'isteria, la complessità, la portata mistico-religiosa, il messaggio messianico, l'afflato psichedelico-lisergico, la trasformazione, la creazione, l'odore pungente e penetrante, la drogata follia.

Il regista - affidandosi a una galleria di volti rassicuranti e alla moda (dalle dimensioni di character poster), a una rappresentazione piatta che ammicca alla serialità, a una narrazione con qualche intoppo ma tutto sommato fluida, a toni epico-drammatici di sicura presa troppo costruiti per crederci, a indubbie doti professionali e valori produttivi - assume il fondamentale, iniziatico romanzo di Frank Herbert come un bicchier d'acqua dopo aver ingurgitato uno snack salato, rigurgitando un'opera studiata, levigata, distaccata, irrorata di umori filmici standardizzati, priva di magia e asperità e slanci (sia sul piano estetico che su quello contenutistico e sul versante ludico-action).
Il Dune di questo millennio è roba per mollicci millennial (e affini), è l'organo ripulito di un corpo putrefatto, è materia esangue e incolore.
È un Harkonnen che non fa paura.
Non propriamente "brutto" né malfatto, l'evento cinematografico dell'anno 2021 non lascia nulla - né personaggi o temi o sequenze che restino nella memoria - svanendo ai titoli di coda come polvere desertica virtuale.
Nella speranza che con la seconda parte (non una serie tv, come anche si vocifera, mannaggia il Kwisatz Haderach!) Villeneuve si lasci andare ai dolciastri effluvi del melange.

 

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