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La mia vita in rosa

Regia di Alain Berliner vedi scheda film

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La recensione su La mia vita in rosa

di steno79
7 stelle

"La mia vita in rosa" è il primo lungometraggio di Alain Berliner, regista belga che in seguito, dopo un secondo film realizzato ad Hollywood, si è dedicato soprattutto alla televisione. Il film tratta una tematica particolarmente delicata come quella dell'identità di genere, il cosiddetto "gender" che tanto spaventa i bigotti cattolici che in Italia fanno petizioni per allontanare lo spettro di qualcosa che neppure conoscono e su cui potrebbero informarsi anche vedendo un film come questo. È la storia di un bambino di sette anni di nome Ludovic che si percepisce come una bambina, e tutti i suoi comportamenti "al femminile" che a lui sembrano del tutto naturali creano imbarazzi e fastidi ai suoi familiari e ai suoi piccoli amici, fino ad una marginalizzazione che conduce anche al licenziamento del padre e al trasferimento forzato in un'altra città. È un film onesto nel mostrare l'ingiustizia e anche la crudeltà di certe convenzioni sociali che non accettano la diversità e impongono il conformismo in nome di principi tutto sommato discutibili. Infatti, verso la fine del film Ludovic incontra una ragazzina che gioca a fare il "maschiaccio", il tomboy, e non deve subire le vessazioni e le umiliazioni che invece sono riservate a lui; il film sembra chiedersi in definitiva perché la cultura occidentale non possa accettare un'opzione transgender senza bollarla con lo stigma dell'anormale e della devianza. Berliner dimostra coraggio nel non arretrare di fronte alle implicazioni più sgradevoli, dato che il film è stato impostato come una favola vagamente surreale; il finale mi è sembrato però un po' troppo accomodante e consolatorio. Se l'opera va spesso a segno, il merito è anche di una fotografia ipercolorata e sgargiante nelle composizioni di Yves Cape, a tratti ai limiti dell'estetismo. Ben diretto il cast, con il piccolo Georges Du Fresne davvero a suo agio in una parte che poteva facilmente scivolare nella caricatura e invece risulta vitale e trascinante; una menzione d'onore anche a Michele Laroque e Jean-Pierre Ecoffey, entrambi molto sensibili nei ruoli dei genitori di Ludovic. Non è un film perfetto e qualche sbandata ogni tanto la prende, ma è un'opera istruttiva, ben dosata nelle emozioni e che all'epoca ebbe anche un buon riscontro a livello internazionale, vincendo un Golden Globe come miglior film straniero nel 1998.

Voto 7/10

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