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U-Turn. Inversione di marcia

Regia di Oliver Stone vedi scheda film

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La recensione su U-Turn. Inversione di marcia

di munnyedwards
6 stelle

 

Bobby Cooper (Penn) sfreccia nel deserto dell’Arizona a bordo di una Mustang rossa fiammante, la sua passione per il gioco d’azzardo gli è già costata due dita e ora corre in Nevada per saldare il dovuto ad un mafioso russo, il tempo stringe e vorrebbe evitare altre violente amputazioni.

Alla radio Peggie Lee canta It’s a good day ma la giornata non sembra affatto buona quando il manicotto della Mustang esplode come un petardo, la macchina si ferma nel mezzo del nulla e l’unica via è quella per Superior, uno sputo di paese nella desolazione dell’inferno.

Il meccanico si chiama Darnell (Thornton) e ad una prima occhiata sembra gli manchi qualche rotella, Bobby lascia l’auto nelle mani del bifolco ed entra in città accompagnato da un caldo atroce e dalle battute di un indiano cieco (Voight), ma Superior ha qualcosa di primordiale e malato, è un buco nero dal quale sembra impossibile fuggire.

Una forza invisibile prende il sopravvento sull’ (in)colpevole protagonista e lo trascina suo malgrado in un torbido triangolo di sesso e morte, diviso tra l’attrazione per la sensuale e ipnotica Grace (Jennifer Lopez in stato di grazia) e il sostanzioso malloppo del marito Jake (Nolte), l’inversione di marcia del titolo potrebbe essere una terza opzione, ma nonostante i tentativi risulta impraticabile.

 

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U-Turn è tratto dal romanzo Stray Dog firmato da John Ridley, tecnicamente ci troviamo di fronte ad un classico noir riletto in chiave psichedelica e feroce, Oliver Stone a tre anni di distanza torna a percorrere le strade di Assassini nati riproponendo una regia vorticosa e un montaggio sincopato, determinante nel creare questo effetto allucinogeno è la contrastata e sovraesposta fotografia del grande Robert Richardson (premio Oscar per JFK, Aviator e Hugo Cabret).

L’odissea del loser Bobby ci viene servita sotto una sadica lente di ingrandimento, lui non è un santo ma le bizzarre figure che gli gravitano intorno lo spingono in un turbine di violenza e morte, una dark lady indiana bella quanto pericolosa, un signorotto locale viscido e perverso, uno sceriffo ambiguo (Boothe), un meccanico scemo e infine una coppia di fidanzatini da camicia di forza (Phoenix & Danes), sembra un complotto ben organizzato ma invece è solo l’inevitabile fluire di un destino già scritto.

 

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Hai dei piani?

I tuoi piani fanno ridere il Grande Spirito, anch’io ne avevo...progettavo di vederci per tutta la vita!

 

La sceneggiatura firmata dallo stesso Ridley non ha una dimensione precisa, il racconto si alimenta di eccessi, si passa con disinvoltura dal dramma al noir, dal thrilling alla commedia grottesca, si ride di gusto nell’assistere all’incredibile caduta di questo perdente senza scampo, Stone si trova perfettamente a suo agio con una messa in scena stravagante ed estremista, è uno stile radicale e sfacciatamente pulp che richiama Tarantino ma che da sempre integra l’estetica del regista di Platoon e Salvador.

Non tutto funziona a dovere questo è chiaro, sopratutto nella seconda parte la storia perde parte del suo slancio corrosivo, la tiene a galla l'ottima regia e un finale scontato ma di rara efficacia tragicomica, nel contesto insanguinato di un deserto che partorisce cadaveri neanche fossero cactus l’ultima parola spetta al maledetto manicotto della Mustang e al ghigno di un mefistofelico Billy Bob Thornton; e finalmente se la ride anche il povero Bobby.

U-Turn non è tra i film più considerati di Oliver Stone, anzi secondo alcuni critici rientra tra le opere meno riuscite se non addirittura tra quelle da bocciare, va detto che il regista non ha mai ricevuto un consenso unanime e spesso è stato aspramente criticato, di contro io l’ho (quasi) sempre apprezzato e quindi sono decisamente di parte.

Perché vederlo quindi?

Per Jennifer Lopez tanto per cominciare, non sarà una grande attrice (e al tempo di U-Turn lo era ancora meno) ma in questo film ha una carica sensuale semplicemente dirompente, per la sceneggiatura brillante e divertente di John Ridley, per la presentazione azzeccata di tutti i personaggi, grottesche caricature di un’umanità brutta, sporca e cattiva; per i colori accecanti di uno scenario western contaminato dall’acido del progresso, per la regia schizzata di Stone e per l’indiano cieco di un irriconoscibile Jon Voight che tra una cazzata e l’altra butta lì un paio di battute che lasciano il segno.

Consigliato sia agli amanti di Stone che a quelli di Tarantino, da segnalare una brevissima apparizione di Liv Tyler e le musiche originali di Ennio Morricone.

Voto: 7

 

I titoli di testa valgono più di mille parole ;)

 

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