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Bentornato Presidente!

Regia di Giancarlo Fontana, Giuseppe G. Stasi vedi scheda film

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La recensione su Bentornato Presidente!

di silviodifede
2 stelle

Tutta sta tiritera per far riconquistare al personaggio di Claudio Bisio una imbarazzante e antipaticissima Sarah Felberbaum. Come sempre, alla commedia italiana attuale manca la cattiveria e il coraggio per affrontare certi argomenti e si arriva automaticamente a un film impalpabile.

Il senso di proporre a distanza di 8 anni il sequel di un film già a sua volta improbabile come Benvenuto Presidente? Facile da dire, il cinema italiano ormai è talmente in crisi di idee che ricicla anche le idee brutte.

 

Il primo film era già particolarmente brutto, ma per certi versi si salvava dal tracollo un po' per i soliti sforzi (sempre vani, ahimè) di Bisio e un po' per la dolcezza e la bravura di Kasia Smutniak, finendo però per raccattare le solite boiate pseudo-romantiche che nulla dicono se non a quel tipo di pubblico che vuole sempre e per forza il lieto fine zuccheroso anche se forzato.

 

Cosa ha di diverso questo film? Sostanzialmente poco perché in sostanza (tra i flebili tentativi di "salvare il paese") il soggetto è di nuovo quello, con Bisio che ritorna per riconquistare la dama. Ed ecco che allora esce il tremendo problema di questo film, se la donna da conquistare 8 anni fa era la brava Kasia Smutniak, qua tutta la tiritera (con tanto di superflua figlia al seguito, giusto per allietare i faciloni, e per irritare gli altri prima ancora dei titoli di testa con una battuta imbarazzante sul nome della bimba) è per fare breccia su un personaggio reso tremendamente bloccato, irrigidito e antipatico da una impresentabile Sarah Felberbaum: già, un po' come Ritorno Al Futuro 1 e 2, il personaggio è lo stesso ma cambia l'attrice e qua la differenza si vede tutta. A confronto di questa Felberbaum che recita con un bastone addosso (per non dire di peggio), la Kasia Smutniak del primo film ne esce manco fosse una Meryl Streep.

Già in questo il senso del film va a farsi benedire.

 

Nessuno può accusare Bisio di non metterci di impegno, anzi si vede sempre che ci mette l'anima per provare a sfondare nel cinema, ma proprio (specialmente nei film in cui è protagonista) non ci riesce: forse è colpa proprio dei film in cui finisce continuamente per trovarsi, con sceneggiature che non riescono mai a sfruttare davvero le sue doti, forse lui stesso non riesce più a far ridere come riusciva una ventina di anni fa in tv e teatro, fatto sta che per il comico milanese (di adozione) è l'ennesimo buco nell'acqua. Lui si arrovella, si arrabatta, ma quando due-tre volte si ricorre all'ennesima originalissima battuta sulla sua mancanza di capelli (come succedeva ogni tre secondi a Zelig) davvero si capisce che di idee comiche non ce ne sono e infatti il suo personaggio non fa mai ridere.

 

A vedere il trailer invece avevo avuto la sensazione di un altro instant movie col tentativo di buttare lì quattro manfrine di attualità politica, dopo aver "assaporato" il tremendo cinepanettone di Netflix "Natale a 5 Stelle". Lo è, ma solo in parte.

L'unica fonte di vivacità infatti sono le non velate prese in giro alla classe politica attuale, vedi il Teodoro Guerriero di Calabresi che inizia bene nel fare il verso a Salvini. Alla lunga però si nota una certa ripetitività e la parlata strascicata stona (specialmente a chi ricorda il suo Biascica di Boris), finisce per stancare e per somigliare paradossalmente più a Bossi che a Salvini.

 

Meno presente (come peraltro nella realtà dell'ultimo anno) ma più gustosa la presa per i fondelli di Renzi e del PD, con anche alcuni spunti surreali come la partita di calcio balilla 80 giorni dopo le elezioni e i manifesti con la falce e martello alla sede del partito. Con un po' più di coraggio il Vincenzo Maceria di Marco Ripoldi poteva dare qualcosina.

 

Più sterile invece la rappresentazione pentastellata, con la storia della "bolla" che è troppo vicina alla realtà per essere divertente e un Guglielmo Poggi completamente spaesato nel Danilo Stella-Luigi Di Maio: anche qui troppo reale, perché lo stesso Di Maio è un pesce fuor d'acqua nella sua posizione.

 

Pure questa però è una cosa che sostanzialmente non dura che il tempo dell'introduzione dei personaggi, perché il film non ha il coraggio di colpire su quei punti, non ha il coraggio di infilare il coltello nella piaga.

E' così l'ennesimo film italiano scritto con paura di "urtare" qualche parte, finendo quindi per non centrare nessun bersaglio, per risultare impalpabile.

Il finale poi è pura fantascienza involontaria (rimediata in minima parte dal post-finale nel corso dei titoli di coda).

Bocciato come previsto.

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