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The Mountain

Regia di Rick Alverson vedi scheda film

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La recensione su The Mountain

di Spaggy
5 stelle

La visione di The Mountain di Alverson non può che lasciare basiti per almeno un paio di ragioni. Innanzitutto, la trama. Le poche righe di sinossi concesse ci indirizzano verso la storia di Andy, un adolescente introverso che, rimasto orfano di padre e con un madre ricoverata in chissà quale ospedale psichiatrico, accetta di fare da assistente al dottor Fiennes, che nell’America del periodo è abbastanza conosciuto nell’ambiente medico per essere uno dei primi pionieri dell’elettroshock e della lobotomia. Chiaramente, siamo di fronte a una storia di fiction che, però, trova più di qualche corrispondenza nella realtà, facendo pensare all’enigmatica figura del dottor Freeman, colui che esportò realmente la tecnica della lobotomia transorbitale dalla Gran Bretagna agli USA. Il Fiennes raccontato da Alverson è un losco figuro che in nome della scienza e delle donne con cui copulare sfrutta le tragedie altrui per andare avanti. Se ne accorgerà presto sulla sua pelle anche il povero Andy quando incontrerà Susan, l’adolescente figlia di un precettore francese da sottoporre a terapia.

Nel film di Anderson nulla viene lasciato al caso ma la maestria, spesso fredda e gelida, con cui il regista costruisce le scene non trova contraltare nella sceneggiatura: levata la linea orizzontale garantita dal racconto nella sua forma minima, non si capiscono le tangenziali che talvolta la storia prende. Ci sono indizi che vengono disseminati e che fanno sperare in certe direzioni. Andy viene dipinto dapprima come introverso, ossessionato dal sesso (di cui reprime gli istinti ma che lo insegue tramite la figura di un transessuale nudo o le immagini pornografiche delle riviste vietate), vittima silenziosa degli abusi psicologici del padre (un Udo Kier che lascia lo schermo troppo presto) e amante della fotografia. Di tutto ciò, però, non resterà nulla: il regista fa tabula rasa degli elementi e lobotomizza il racconto, privandolo di ogni sfumatura con una scelta radicale che rende Andy e Susan, innamorati per caso, in due essere linfatici, in due vegetali senza alcun pensiero.

Jeff Goldblum, Hannah Gross

The Mountain (2018): Jeff Goldblum, Hannah Gross

 

Gli anni Cinquanta così facendo diventano gli anni in cui piuttosto che l’utopia della Grande America nasce l’utopia del tutti uguali. Che quella di Alverson sia una critica alla società moderna è fin troppo evidente nella figura di Denis Lavant, precettore francese che disquisisce da ubriaco di arte e pretende di avere davanti a sé un pubblico di non pensanti, di zombie dallo sguardo vuoto. In Lavant, purtroppo eccessivo ed esagerato, è possibile rivedere uno dei moderni guru che in nome del global desidera rendere appetibile il suo pensiero a un pubblico di celebrolesi, privi di discernimento. La follia o la pazzia dell’essere speciali e unici viene combattuta come un nemico: il solo a poter raggiungere la vetta della montagna e capirla è il maschio bianco in grado di non accontentarsi di un’immagine riprodotta su un muro. Sarà questa la ragione per cui il finale appare buonista e appiccato: senza andare oltre, è a suo modo un happy end che si scontra con le atmosfere fredde che il film ha seguito sin dall’inizio. Poggia però solidamente sulle spalle del promettente Tye Sheridan e dell’ineccepibile Jeff Goldblum, a suo agio nei panni di un medico che non fa nulla per farsi piacere (è spontaneo chiedersi se il suo dottore non sia altro che la risposta a tutti i Good Doctor che imperversano in televisione).

Tye Sheridan

The Mountain (2018): Tye Sheridan

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